Cosa abbiamo sbagliato nella gestione del Coronavirus

Cosa abbiamo sbagliato nella gestione dell’epidemia? Come mai oggi ci troviamo a vivere una situazione fuori controllo?

Ci aveva elogiato, mesi fa, il New York Times, sulla gestione della prima ondata del Coronavirus. Dalle pagine del quotidiano americano erano arrivate parole di apprezzamento sia per gli italiani – che per i loro comportamenti avevano riscattato il loro “nome” – sia per il Premier Giuseppe Conte – che per la sua leadersheap aveva guadagnato un alone di positività e di rispetto il tutto il mondo, o quasi. Non è difficile pensare, ad oggi, che quel “modello italiano” elogiato da diverse parti non funzioni più. L’Italia si trova alle prese con la seconda ondata epidemica, che si sta rivelando essere più complicata del previsto. L’allarme arriva dagli economisti, preoccupati per l’andamento del sistema economico; ma anche dai medici, preoccupati per il collasso del sistema sanitario, a detta di molti molto più che una probabilità. E’ evidente, quindi, che qualcosa non funziona più. Ma cosa abbiamo sbagliato? 

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Cosa non ha funzionato

Nella giornata di ieri, sono stati 21.273 i nuovi casi di coronavirus in Italia, in crescita rispetto ai 19.644 del 24 ottobre, nonostante siano stati fatti meno tamponi – 161.880 rispetto ai 177.669 del giorno precedente. Sono stati 128 i morti, per un totale di 37.338 decessi da inizio emergenza. Cresciuto anche il numero dei ricoverati in terapia intensiva, con un incremento di 80 unità nella giornata di ieri. 2.086 sono stati invece i guariti. Critica, di nuovo, la Lombardia con 5.762 casi e 32mila tamponi effettuati. Segue la Campania, con 2.590 casi e 16.906 tamponi. Peggiorano anche il Piemonte, con 2.800 contagi e 12.800 tamponi; la Toscana, 1800 casi e 13.00 tamponi; il Lazio con 1.541 casi ma ben 22mila tamponi.

E’ chiaro, quindi, che qualche errore c’è stato. A crollare, innanzitutto, è stato il mito della sanità lombarda, da sempre modello di massima efficienza. “C’è stato un clamoroso fallimento, non c’era potenziale per fare tamponi. Qualcuno è stato incapace di moltiplicare potenzialità diagnostiche. Ammettiamolo e riconosciamo questo aspetto”. A dirlo è stato il professor Massimo Galli ospite in una trasmissione Rai. Tra le cause che hanno impedito alla Lombardia di reggere all’onda d’urto del Coronavirus c’è l’abbandono dell’assistenza territoriale e la privatizzazione della sanità. Secondo l’Oms, non solo la Lombardia ma l’Italia, dal 1997 al 2013, ha più che dimezzato i posti letto per i casi acuti e per la terapia intensiva, finendo agli ultimi posti nella classifica europea. Secondo Vittorio Agnoletto, che si è concentrato sulla questione Lombardia, i numeri sono la conseguenza dell’assenza di un sistema di sorveglianza sanitaria efficace – che ha permesso al virus di circolare per due mesi liberamente prima dell’identificazione del caso di Codogno; e dell’ assenza di tracciamento dei contatti.

Scelte politiche, conseguenze catastrofiche

Riassumendo, i motivi che avrebbero impedito alla Lombardia di reggere il Coronavirus , prima ed anche ora, andrebbero ricercati proprio nell’abbandono dell’assistenza territoriale e nella privatizzazione della sanità lombarda, un processo favorito dalla Regione Lombardia. L’indebolimento della struttura pubblica unito alla riduzione del personale e ai tagli agli investimenti per strumentazione e ricerca sono stati un mix letale. Non eravamo pronti, non lo era neanche una regione da sempre all’avanguardia. Ma la Lombardia non è un caso isolato e ciò che non ha funzionato lì non ha funzionato neanche nel resto d’Italia. Sono crollate anche le efficienze di Veneto e Campania, Regioni che sembravano mantenere più sotto controllo la situazione, al contrario di altre che invece crollavano.

Merito, si pensava, di Luca Zaia e di Vincenzo De Luca. Eppure, a rimettere in discussione i giochi c’è stata la seconda ondata che mostra “come chi aveva fatto male continua a fare male”, scrive Wired, ma che “chi aveva fatto bene non aveva fatto poi così bene”.  La Lombardia appare nuovamente allo sbando in termini di contagio e di gestione – caos tamponi, esaurimento di vaccini anti-influenzali, ordinanze di facciata – ma guardiamo al Veneto, ad esempio. Era stato un caso unico, tanto da meritarsi l’appellativo di “modello Zaia”. Oggi, tuttavia, il Veneto sta vivendo un nuovo boom di contagi e la Regione è salita agli onori della cronaca per l’inefficienza sul monitoraggio dei contagi.

La disfatta del modello Campania

Anche in Campania si è parlato di una sorta di modello, ma oggi anche la Regione di Vincenzo De Luca è tra le regioni messe peggio in termini di contagio, ricoveri e pressione sugli ospedali. “Non ci sono medici o infermieri in più, niente tamponi o nuovi posti letto. Assistenza domiciliare completamente assente. Cosa è stato fatto in tutti questi mesi di proclami e lanciafiamme?”, ha tuonato il sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Il governatore, smantellando la medicina territoriale, non ha prevenuto il rischio di una seconda ondata. Così, oggi deve gestire una situazione esplosiva. Quei modelli positivi oggi si disintegrano e mostrano tutti i loro limiti.

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