Covid, il modello per prevedere l’evoluzione dell’epidemia è errato: il motivo

Uno studio rivela che il modello utilizzato per prevedere l’evoluzione dell’epidemia di Covid-19 presenta numerosi limiti. Gli studiosi hanno per questa ragione proposto l’utilizzo di un altro metodo che non si basi sul parametro R0.

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Il modello attualmente utilizzato per prevedere l’evoluzione dell’epidemia di Covid-19 si basa sul parametro R0. Esso misura la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva. In pratica, significa che se il suo valore è 2 allora un individuo che ha contratto il virus in media lo trasmetterà a sua volta ad altre due persone. L’utilizzo di questo parametro, tuttavia, presenta dei limiti importanti. Lo rivela uno studio condotto da Laurent Hébert-Dufresne, biomatematico e docente presso il dipartimento di informatica dell’Università del Vermont, insieme al collega Antoine Allard, fisico dell’Università Laval del Québec.

Lo studio sul parametro R0

Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista della Royal Society, propone il superamento dei limiti del parametro R0. Esso, infatti, difficilmente aderisce alla realtà, anche perché molto raramente il valore è intero. Ne risulta che l’infetto medio è semplicemente una creatura scientifica. Inoltre è da sottolineare che la capacità di trasmissione del virus cambia da persona a persona e in base a diversi fattori, tra cui la carica virale. Risulta, dunque, spontaneo chiedersi come mai tale parametro venga utilizzato dagli esperti, nonostante non sia preciso né realistico.

Il parametro R0 è molto usato perché è facile da usare. E in fondo è una buona metrica. È il numero medio di infezioni che un infetto può causare. È molto popolare perché semplice: se R0 è superiore a 1, significa che le cose andranno male. Se R0 è inferiore a 1, invece, ciò indica che l’epidemia rallenterà e si estinguerà. Un problema è proprio questa semplicità: siccome con R0 si riduce tutto a un numero, viene istintivo paragonare gli R0 di differenti epidemie“. Lo spiega Laurent Hébert-Dufresne, biomatematico promotore dello studio, in un’intervista a Repubblica.

I limiti derivanti da una valutazione di questo genere, tuttavia, sono evidenti. “È sbagliato, perché naturalmente R0 dipende anche dalle specifiche modalità di trasmissione di una malattia infettiva. Quindi può capitare che una malattia con un R0 inferiore a quello di un’altra malattia finisca poi per espandersi di più. Ecco – dice Hébert-Dufresnese dovessi usare una metafora direi che parlare di R0, che è soltanto un numero, è come parlare del tempo considerando soltanto il dato della temperatura, quindi tralasciando venti, pioggia e nuvole. R0 non racconta tutta la storia, per così dire“.

Esistono, tuttavia, anche dei vantaggi. “Nonostante questo, in alcuni casi R0 è un’ottima metrica. Ad esempio per l’influenza è vero che l’infetto medio contagerà R0 persone. Invece il Sars-Cov-2 è più variabile dell’influenza: c’è maggiore variabilità nel numero di persone che si possono infettare e quindi usare il solo R0 nasconde aspetti della realtà, impedendo di avere un quadro esauriente“.

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Piuttosto che calcolare la media delle persone contagiate da un infetto potrebbe essere utile lavorare sui super diffusori. “R0 è una media, e nei primi tempi di un’epidemia la distribuzione degli infetti nella popolazione è molto irregolare. In quello stadio l’epidemia è alimentata dai cosiddetti “super diffusori”, ovvero quei positivi che infettano un grande numero di altre persone. Anche se forse sarebbe più corretto parlare di “eventi di super diffusione”, perché in molti casi il problema è in quegli ambienti ristretti e poco ventilati dove si incontrano più persone, o comunque in quegli eventi dove si radunano masse di persone“.

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Laurent Hébert-Dufresne, biomatematico e docente presso il dipartimento di informatica dell’Università del Vermont, a lezione – meteoweek.com

Un metodo alternativo

L’obiettivo dei biomatematici Laurent Hébert-Dufresne e Antoine Allard è quello di sviluppare un modello migliore, che non si basi sul parametro R0. Quest’ultimo, infatti, è utile per determinate tipologie di malattie infettive. Per stabilire l’andamento dell’emergenza Covid-19, invece, servirebbe un metodo più preciso.

Il nostro approccio è la cosiddetta “network epidemiology”. Noi poniamo particolare attenzione alle reti di trasmissione della malattia. In questo modo riusciamo a modellare piuttosto bene la distribuzione delle infezioni secondarie, ovvero la distribuzione dei contagi causati dagli infetti“. Lo rivela il promotore dello studio. “Questo ci permette – a differenza di R0 – di tenere conto che, probabilmente, ci sarà una maggioranza di persone positive al Covid che non infetta nessuno, e ci saranno invece altri che infetteranno 10 o 20 o più persone. Un approccio di questo tipo è utile perché il Covid ha un’eterogeneità spinta, simile, ad esempio, alla distribuzione di ricchezza in una nazione. Anche in quel caso il valore medio ha poco senso, perché ci sono tanti poveri e poi c’è Bill Gates“.

Le nuove stime si basano su dati registrati nel corso della diffusione di malattie infettive precedenti. “Durante il mio dottorato ho studiato l’epidemia di Sars del 2003. E lì ho notato le grandi fluttuazioni nella distribuzione dei contagi. E la loro grande eterogeneità. Ad esempio in Canada la Sars è arrivata quasi contemporaneamente a Toronto e Vancouver. Ma la sua diffusione nelle due città è stata molto diversa. E gli epidemiologi si sono chiesti: “Qual è la ragione di due esiti così diversi?”. Ed è a questo punto che i modelli di analisi del network dei contagi sono apparsi molto interessanti. Perché permettevano di modellare le diversità nel numero di contatti che gli infetti possono avere“.

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Anche il modello creato dai due biomatematici, tuttavia, ha degli svantaggi. “Il nostro approccio permette di arrivare a stime più precise, ma ha bisogno di più dati rispetto al semplice calcolo di R0. Non basta conoscere la media di persone che un positivo contagerà, ma bisogna ricostruire tutta la distribuzione dei contagi. E bisogna presupporre più cose, rischiando di sbagliare“.

Per avere dati certi è indispensabile avere ottime metodologie di tracciamento, che in Italia attualmente scarseggiano data la bassa efficacia dell’applicazione Immuni. “Per questi motivi il modello “a rete” è difficile da usare nelle prime settimane di un’epidemia. E diventa invece più usabile quando sono stati raccolti più dati. Ad esempio con le app di tracciamento dei contatti. O comunque con i dati che vengono raccolti dal sistema sanitario quando una persona viene dichiarata positiva al Covid, ovvero chi sono i suoi familiari, quali altre persone potrebbe aver contagiato, e così via“.

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