In Italia si muore troppo di Covid: cosa sta succedendo?

Secondo la John Hopkins l’Italia è tra i paesi più colpiti dalla mortalità per Covid rispetto al numero della popolazione.

Secondo i dati analizzati dalla Johns Hopkins University l’Italia è, fra i 20 Paesi più colpiti dal Covid in termini di contagi, quello che ha un tasso maggiore di decessi in rapporto alla popolazione. Se si guarda al dato complessivo, tenendo conto dei Paesi più piccoli che registrano meno contagi in termini assoluti, al primo posto per morti ogni 100 mila abitanti c’è il Belgio e l’Italia è quarta (dopo Peru’ e San Marino). Numeri chiari, tra l’altro confermati anche da altri istituti come Worldometers e dall’Oms.

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Per essere chiari, secondo l’ateneo americano in Italia si registrano 112,35 morti di Covid ogni 100 mila abitanti. Segue la Spagna con 104,71, il Regno Unito con 100,23, gli Usa con 95,85; più indietro Francia (90,08) e soprattutto la Germania (31,06). Se poi, appunto, nella classifica si inseriscono anche Paesi meno colpiti in termini assoluti, il Belgio balza al primo posto con un tasso di 160,84, seguito da San Marino (159,83) e Perù (115,22). Poi arriviamo noi: e anche essere il quarto paese nella classifica della mortalità non è una buona notizia.

In Italia si muore tanto, troppo per Covid 19: perchè? Una risposta potrebbe arrivare dall’analisi del metodo di calcolo dei decessi: in alcuni paesi chi è affetto da una patologia grave e muore non viene conteggiato come vittima del coronavirus. Cosa che invece capita in Italia. Questo ovviamente crea già alcune discrepanze anche significative. Poi c’è la caratterizzazione demografica dell’Italia: siamo un paese con un’ampia popolazione anziana che percentualmente non gode di ottima salute. Secondo alcuni studi in Italia, in età avanzata, si soffre di più patologie che in altri paesi. C’è poi un altro tipo di considerazioni da fare, che vanno a riferirsi a responsabilità di tipo politico. Secondo la John Hopkins University a fare la differenza, nel nostro caso in negativo, è stata la condizione della sanità pubblica.

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Decenni di tagli, privatizzazioni, esternalizzazioni hanno ridotto al minimo la capacità del nostro sistema sanitario di tenere botta all’arrivo dirompete della pandemia, all’inizio del 2020. Una lezione che l’attuale classe dirigente del paese non sembra aver compreso bene, visto che delle decine di migliaia di medici ed infermieri da assumere (calcolo effettuato a marzo, nel pieno del picco della prima ondata), ne sono stati inseriti troppo pochi. Ed è solo un esempio. C’è poi un’altra considerazione: il governo ci ha messo troppo tempo a prendere le decisioni necessarie. Carlo La Vecchia, docente di epidemiologia alla Statale di Milano calcola in venti giorni il tempo perduto. “Dal 10 al 30 ottobre ogni indice suggeriva di correre ai ripari, ma abbiamo dovuto attendere il Dpcm del 4 novembre. Ottobre è stato come febbraio durante la prima ondata. Gli stessi segnali. Allora non sapevamo, non avevamo capito. Questa volta sapevamo bene che agire subito era fondamentale”». 

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