Vaccinare tutti, in fretta e ad ogni costo: il metodo di Israele per uscire in fretta dalla crisi

Una combinazione vincente quella che ha permesso ad Israele, che conta 9,3 milioni di abitanti, di mettersi in testa come primo Paese al mondo per numero di vaccinati pro capite. Prima Pfizer, poi Moderna. Il merito, a stupore di molti, è di un alto livello tecnologico e di un efficiente sistema sanitario e organizzativo. Ma la corsa al vaccino dipende anche da un altro fattore: elezioni alle porte, che Benjamin Netanyahu non ha intenzione di perdere. 

“Abbiamo fatto arrivare milioni di dosi qui, più di ogni altra nazione al mondo rispetto alla sua popolazione. Li abbiamo fatti arrivare qui per chiunque: ebrei e arabi, religiosi e laici. Fatevi vaccinare”. Sono state queste le parole dette da Benjamin Netanyahu, primo Ministro israeliano, in occasione del 19 dicembre quando si è fatto vaccinare in diretta televisiva. Un’esortazione, quella di Netanyahu, rivolta soprattutto agli arabo-israeliani ma anche agli ultraortodossi, comunità particolarmente colpite dal coronavirus. 

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Ottime premesse, ottimi risultati. In meno di due settimane, oltre il 12,5% degli israeliani ha ricevuto la prima dose di vaccino per il Covid, mettendosi in testa addirittura agli Usa e a Paesi molto più avanzati, come quelli europei. Lo Stato ebraico è quindi diventato un modello, ponendosi come una delle nazioni con la più alta percentuale di cittadini vaccinati. Seguono il Bahrein, con il 3,53% della popolazione; e il Regno Unito, con l’1,39%. Il Pfizer/BioNTech verrebbe somministrato a 150 mila persone al giorno, secondo una scala di priorità che vede in testa gli ultrasessantenni, il personale sanitario e le persone con un quadro clinico vulnerabile.

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I motivi del successo

A cosa, quindi, si deve quest’avanzata? Il successo dello Stato ebraico è frutto di diversi fattori a partire, in barba alle aspettative, all’alto livello tecnologico che contraddistingue il piccolo Paese di soli nove milioni di abitanti che ha permesso di organizzare il sistema sanitario attraverso l’uso massiccio della digitalizzazione. La campagna di vaccinazione è stata poi gestita a livello centralizzato dal governo. Il tutto, in brevissimo tempo: la tempestività con la quale le autorità hanno firmato contratti con i colossi farmaceutici è risultata la carta vincente. Ma accanto a questa, ha giocato un ruolo prioritario una campagna contro la disinformazione dei no-vax, sostenuta proprio da Benjamin Netanyahu.

L’incognita elezioni

Ma c’è un’altra variabile che avrebbe poter spinto il governo israeliano ad accelerare sui vaccini: le elezioni, previste per il prossimo due marzo. Saranno le terze elezioni politiche in Israele in un anno, dopo quelle di aprile e settembre 2019, che non hanno dato a nessun partito o coalizione una chiara maggioranza. I partiti in gioco – Likud, del primo ministro Benjamin Netanyahu; Blu e Bianco guidato dal centrista Benny Gantz – non avevano portato a nessun accordo e le trattative si sono rivelate fallimentari nel loro esito. Le elezioni di aprile erano finite con Likud e Blu e Bianco in pari, con 35 seggi a testa.

Nessuno era riuscito a trovare alleati per un governo di maggioranza, e così quelle di settembre erano finite con 33 seggi per Blu e Bianco e 32 per Likud, a cui era comunque stato dato il primo incarico di formare il governo. Ma, per formare una maggioranza parlamentare, sarebbero serviti 61 voti sui 120 della Knesset, ma Netanyahu si era fermato a 55 voti. Gantz aveva allora ricevuto il mandato, ma non aveva trovato i partiti. Netanyahu gode ancora di sostegno nel suo partito e il fattore vaccini potrebbe in effetti dargli tutti i vantaggi in una prospettiva politica.

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