Renzi e le consulenze all’Arabia Saudita: problema di opportunità politica

Nel bel mezzo della crisi di governo innescata da lui stesso, Matteo Renzi è volato in Arabia Saudita per tenere una delle sue conferenze.

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Matteo Renzi, leader di Italia viva. Credit: Matteo Renzi Facebook

Nel momento in cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si recava al Colle per rassegnare le dimissioni, Matteo Renzi – il leader di Italia viva che ha innescato la crisi di governo – volava in Arabia Saudita per tenere una conferenza. La storia non risulta nuova alle orecchie degli esperti di politica, il fatto che il senatore di Rignano guadagni milioni nelle sue trasferte all’estero è un fatto noto e lo stesso Renzi ne aveva parlato più di un anno fa, all’inizio di dicembre 2019, durante la trasmissione Piazzapulita, su La7.

Aveva risposto con determinazione alle domande del conduttore, Corrado Formigli: “Se lei mi domanda se sono stato in Arabia Saudita a fare conferenze, sì. Sono stato negli Emirati Arabi? Sì. In Cina? Sì. Oggi ero in Olanda. L’altra settimana a Barcellona. Andrò in Germania, poi in Svizzera. Sì, vengo retribuito per fare delle conferenze perché c’è gente che pensa che sia interessante ciò che ho da dire. Quell’evento a cui ero presente con David Cameron e François Fillon era un evento di un grande fondo d’investimento che si chiama Pif che ha quotato un’azienda che si chiama Saudi Aramco, la più grande quotazione della storia”.

Un problema di opportunità politica

Eppure il suo viaggio di pochi giorni fa ha fatto tornare la questione sotto le luci della ribalta, perché solleva un problema di opportunità politica. È normale, si è chiesto il quotidiano Domani, che nel bel mezzo di una catastrofe parlamentare l’attore principale della rottura se ne vada in un altro Paese per partecipare a un evento internazionale? Soprattutto quando quella stessa persona farebbe parte del comitato consultivo (“advisory board”) di un ente governativo? Il riferimento è all’FII Institute, controllato dal potente fondo sovrano saudita Saudi public investment Fund (Pif).

Se così fosse, vorrebbe dire che l’ex premier ha deciso di dare la priorità ai suoi affari personali, piuttosto che restare in Italia a svolgere il suo ruolo di senatore della Repubblica e di capo della componente parlamentare decisiva per il futuro della legislatura. Altro che le motivazioni da lui fornite tramite un lungo video diffuso sui suoi canali social sugli elementi che lo hanno portato a innescare la crisi. Renzi al Paese ha preferito le trasferte per questioni professionali, che invece dovrebbero sempre essere organizzate in modo da non ostacolare il ruolo politico che si sta svolgendo e per cui si è giustamente pagati.

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Non solo. Stando a quanto ricostruito dal giornale, probabilmente il senatore dovrà garantire il suo intervento al summit saudita anche in questi giorni, da remoto, nel pieno delle consultazioni con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Una impegno che potrebbe causargli delle sovrapposizioni di orari, impedendogli di dare la giusta importanza su ciò che sta avvenendo al Quirinale. L’appuntamento di Italia viva al Colle è previsto per giovedì 28 gennaio, alle 17:30. Renzi è tornato a posta dall’Arabia Saudita, ponendo anche un altro problema etico: in un momento in cui le persone normali hanno problemi a spostarsi tra Comuni, è giusto che il capo del partito che ha fatto saltare l’esecutivo lasci il paese per poi rientrare in tutta fretta e non saltare l’incontro con il capo dello Stato?

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Il problema etico nei confronti dell’Arabia Saudita

Oltre ai problemi di opportunità politica e di correttezza nei confronti di un incarico politico e dei cittadini, si pone anche un altro problema di fronte a Renzi. Cioè il tipo di Paese con cui ha deciso di instaurare una collaborazione professionale e lavorativa. L’Arabia Saudita non è esattamente ciò che si potrebbe definire uno Stato di diritto, dal momento che non esistono le libertà d’espressione, di associazione e di riunione. E i casi a dimostrazione di questo sono diversi. A partire dall’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi, fatto a pezzi all’ambasciata di Istanbul nel 2018. Ma anche dalla persecuzione e detenzione di decine di persone critiche nei confronti del governo e di difensori dei diritti umani e membri delle minoranze sciite. E ancora, non sono pochi gli episodi di applicazione sistematica della pena di morte dopo processi farsa o di sostanziale sottomissione della figura della donna. In uno Stato con questo tipo di ideologie, Renzi va ad arricchirsi. Mentre il nostro Paese cola a picco.

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