Domenico Arcuri, rimasto per dare continuità: ma gli errori sono tanti

Diversi sono gli errori che hanno segnato l’esperienza di Domenico Arcuri, come commissario per l’emergenza Coronavirus. Allora, perché è rimasto? 

E alla fine Domenico Arcuri rimane dov’è. Il commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus designato da Giuseppe Conte rimarrà in carica almeno fino a fine aprile, quando dovrebbe terminare lo Stato di emergenza in Italia. Non è però escluso che, se lo Stato dovesse essere prolungato, che anche Arcuri potrebbe prolungare la sua carica. Nulla di nuovo ma molto di strano, dal momento che molte parti della politica chiedevano a gran voce una sua sostituzione, tanto che la Lega puntava su Guido Bertolaso come alternativa. Così non è stato e Mario Draghi non ha operato cambiamenti. Il motivo è stato spiegato da lui stesso: una scelta operata per continuità con il vecchio esecutivo, dal momento che cambiamenti non farebbero il bene del Paese ed anzi rallenterebbero l’applicazione del piano vaccinale. Piano su cui, a dire il vero, Arcuri non ha fatto brillato.

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L’Italia è indietro con le vaccinazioni per via, soprattutto, di una cattiva governance. Le dosi non sono arrivate nei tempi, rallentando il piano; tanto che, molte Regioni, pensano di fare da sole. Tra l’altro, oggi si è riaperta la vecchia questione delle mascherine. Infatti, nell’ambito dell’inchiesta promossa dalla procura di Roma sulla maxi commessa di mascherine dalla Cina, il Nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza ha effettuato sequestri per 70milioni di euro. Il Procuratore aggiunto Paolo Ielo, che coordina l’indagine, ha indagato Mario Benotti –  presidente del consorzio Optel e di Microproducts It – per traffico di influenze illecite.  Al centro della questione ci sono “i rapporti di conoscenza consolidata tra il commissario Arcuri e Benotti”, su cui bisogna fare chiarezza. E infatti, durante l’emergenza pandemica, fu proprio il Commissario per l’emergenza Covid 19 a chiedere a Benotti di interessarsi dell’acquisto delle mascherine, allora scarse.

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Tutti gli errori di Arcuri

Domenico Arcuri è sicuramente uno dei volti della pandemia, ma ciò che sembra aver caratterizzato il suo operato sembra l’improvvisazione, più che la programmazione tanto che qualche tempo fa, Matteo Richetti, senatore di Azione, scriveva così scritto su Twitter: “Continui proclami a giorni alterni. Risposte alle preoccupazioni delle Regioni direttamente attraverso le conferenze stampa. Mentre vi mettete d’accordo su quali ministri ‘rimpastare’ iniziate andando sul sicuro: cambiate Arcuri”. Speranze però disattese. Su di lui gravava anche l’accusa di una cattiva gestione dei fondi messi a disposizione delle imprese da Invitalia – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti, guidata da Arcuri – per la riconversione industriale e la produzione di mascherine chirurgiche.

A Marzo, in piena emergenza Covid-19, Invitalia assegnava un finanziamento a fondo perduto di 50 milioni di euro a 130 aziende, molte delle quali si riconvertivano per produrre mascherine. Una misura del decreto Cura Italia secondo cui, però, la riconversione doveva avvenire entro 15 giorni dall’ottenimento del finanziamento. Secondo l’imprenditore Maurizio Corazzi, in un servizio di Report, la sua azienda avrebbe ottenuto un finanziamento senza essere riuscita a terminare la riconversione entro 15 giorni. Per questo, ha dovuto restituire il finanziamento, così come le altre aziende che non sono riuscite a rispettare i tempi per la riconversione.

Vaccini e ritardi

E non è andata meglio con l’operazione vaccini. Alla mancanza di vaccinatori – oltre che delle fiale poi arrivate, anche se in ritardo, Arcuri ha risposto solo l’11 dicembre quando ha pubblicato il bando necessario a reclutare 3 mila medici e 12 mila infermieri necessari per l’operazione vaccino. Un bando con scadenza prorogata e piena di errori e di imprecisioni, come i guadagni. Ma non è tutto perché, andando avanti nel tempo, sappiamo che le regioni più virtuose riceveranno più vaccini. Una specie di punizione secondo cui, le Regioni che hanno già somministrato tutte le dosi ricevute ne potranno avere altre. Sono “virtuose” le Regioni che in questa prima fase stanno dimostrando di riuscire a smaltire attraverso un numero elevato di somministrazioni più rapidamente le dosi.

Il tempo sprecato

E ci si ricorderà, inoltre, delle polemiche di pochi mesi fa quando si ripeteva l’incubo già vissuto all’inizio dell’emergenza pandemica: i contagi sfioravano numeri altissimi e gli ospedali iniziavano il collasso. Era la seconda ondata ed era Domenico Arcuri, già allora, che doveva prendere in mano la situazione. Il punto, è che all’inizio della seconda ondata – rispetto alla prima – c’era stato più tempo per prepararsi. C’era stata l’estate per prendere provvedimenti adeguati che avrebbero potuto evitare gli stessi errori della scorsa primavera. Già a luglio il Ministero della Salute avrebbe trasmesso ad Arcuri i progetti delle Regioni: ma si è proceduto per deroghe e rimandi. E così l’Italia è arrivata tardi, di nuovo. Fascicoli sul tavolo, decisioni rimandate, riorganizzazioni mancate: la gestione di Arcuri può riassumersi così. E attorno a lui sono più le ombre che le luci, durante questi intricati mesi di emergenza pandemica.

 

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