Riforma concorsi, lettera aperta a Brunetta: “Mi sente? Dico a Lei, che siede su una poltrona che io 30enne, senza lavoro e concorsista Le pago”

Si scrive riforma, si legge Nuova Casta.

La riforma Brunetta per l’accesso ai concorsi pubblici, (art. 10 del nuovo D.L. 44/2021) così come presentata, di fatto pare voglia reintegrare sfacciatamente, un sistema che per anni è rimasto sommerso in via ufficiosa, ma che ora con arroganza si cerca di rendere ufficiale. La nuova disciplina in tema di concorsi, agevola di fatto cittadini maggiormente benestanti, a discapito degli appartenenti alle fasce economicamente più deboli. L’acquisizione di titoli, o ulteriori titoli non è subordinata alle capacità effettive e alle competenze del cittadino che intende lavorare nella P.A. ma ad una mera disponibilità economica del soggetto. Per intenderci, il percorso che porta un over 30 all’acquisizione di un master è oggi un lusso che ben pochi possono affrontare, non è solo una questione di capacità intellettive e predisposizione allo studio ma anche economica. Il popolo dei concorsisti è in rivolta, il decreto prevede infatti la possibilità per le pubbliche amministrazioni di “stabilire” anche in deroga alla ordinaria disciplina di svolgimento dei concorsi pubblici (DPR 487/94) “una fase di valutazione dei titoli legalmente riconosciuti ai fini dell’ammissione alle successive fasi concorsuali”.  Ma cosa significa?

Per far sì che tutti riescano a comprendere la portata catastrofica della riforma così come presentata, si procederà con l’esplicazione di esempi. Iniziamo.

Si pensi a Tizio, 20enne brillante, intelligente ma economicamente indigente. Tizio desidera iscriversi all’Università ma deve dare priorità al lavoro, si accontenta di un qualsiasi occupazione e sperando in domani migliore abbandona gli studi. Di fatto, ora come ora Tizio è dunque escluso a priori dalla partecipazione dei concorsi sbloccati.

Si prenda ancora in considerazione, ora il caso di Caio, che ha lavorato come cameriere, la notte in un piccolo bar del centro per poter far fronte al pagamento delle rette universitarie. Caio è un portento. Ma la conciliazione di studio e lavoro si traduce talvolta in un inevitabile allungamento del percorso di studi. Quindi Caio, fuori corso e con la “sola” laurea è ritenuto di per sé inadeguato a priori, rispetto ad un Sempronio.  Ma chi è Sempronio?

Prendiamo in esame il caso Sempronio. Sempronio è un trentenne nato in una famiglia benestante, assai benestante che ha provveduto economicamente alla soddisfazione dei suoi bisogni ben oltre la maggiore età. Sempronio non ha mai avuto particolare predisposizione allo studio, ma ha collezionato titoli di studio come se fossero figurine. (Senza sforzo, pagava il papi!) Così a Tizio e Caia, vengono letteralmente tagliate le gambe e a favore di Sempronio, che non è particolarmente capace, ma ha i titoli! Ma cosa significa? In breve? Semplicemente, che il titolo è più importante del merito.

Non meno preoccupazione desta il proseguo della lettera C dell’art. 10 che stabilisce “i titoli e l’eventuale esperienza professionale, costituita dai titoli di servizio, possono concorrere alla formazione del punteggio finale.” Cosa significa?

Prendiamo in considerazione il caso di Clelia, 35 anni che possiede due lauree, un master, ed ha prestato servizio presso la P. A per un anno. La giovane e talentuosa Clelia ha potuto accedere al concorso Y perché in possesso dei titoli richiesti, ha superato le prove per merito ma, non potrà comunque lavorare perché Tiberio, 60enne lavora (magari anche risultati deficitari) nello stesso ente da 30 anni e, stando alla norma totalizzando un punteggio superiore al suo, avrà più diritto della nostra concorsista al lavoro. Quindi, pur essendo la nostra Clelia, pronta e preparata vede sfumare il suo tentativo di superare il concorso perché Tiberio, seppur non goda della stima dei suoi superiori, lavora lì da 30. Ci ritroveremmo così con un sistema non solo più “anziano”, alla faccia del ricambio generazionale, ma anche molto meno competente! Questo significa che non conta come lavori, ma da quanto tempo lavori, a discapito dei giovani.

 

Il decreto, ha sollevato non pochi dubbi in tema di costituzionalità. Ci troveremmo dinnanzi ad un sistema che premia chi ha avuto la fortuna di poter acquisire titoli su titoli, sbarrando l’accesso al mondo del lavoro a milioni di giovani diplomati e neo laureati. La norma di fatto, pare che voglia estendere questa iniqua modalità di accesso anche superata la fase di emergenza.

Questa riforma fa presagire scenari catastrofici, come la nascita di una nuova casta, formata dai nuovi ricchi ai quali sostanzialmente viene riconosciuto l’accesso alle professioni “d’elitè”, senza avere garanzia della tanto decantata efficienza. Senza contare che, si graverebbe anche sul sistema giustizia, che quasi certamente dovrebbe affrontare un numero impressionante di ricorsi, soprattutto per concorsi banditi dai piccoli enti.

 

 Il mio grido di dolore e disperazione

Sono una trentenne. Sono una trentenne e studio da anni. Sono una trentenne ed ho coltivato per lungo tempo la speranza che la perseveranza e la caparbietà potessero aiutarmi nella vita. Sono una trentenne ed ho sperato che il lavoro potesse un giorno rendermi libera. Sono una trentenne, sono una donna che ha poche certezze come altre milioni di persone, sono una trentenne che vive con la paura di essere fuori tempo, di non aver fatto abbastanza prima e di non poter fare abbastanza dopo. Sono una trentenne e sono una concorsista che studia anche 10 ore al giorno, ma non basta, perché la mia laurea non è sufficiente, perché non ho abbastanza soldi per un master, perché a volte mi sento dire che sono troppo grande, altre come in qualche caso che ho poche esperienze nel mondo del lavoro.

Sono una trentenne, sono una concorsista, e questo è il mio grido di dolore e disperazione, di rabbia e frustrazione. Sono una trentenne e non permetterò che il mio futuro mi venga brutalmente strappato, chiedo equità, chiedo giustizia, chiedo lealtà da chi dice di rappresentarmi. Brunetta, mi sente? E’con il mio portavoce che parlo. Brunetta, dico a Lei, Lei che siede su di una poltrona che io trentenne, senza lavoro e concorsista le pago. Sono io e tante altre milioni di persone che finanziamo il suo lavoro.  Un lavoro che non si confà alle esigenze degli italiani e dunque Lei per dettato costituzionale DEVE adeguarsi alle nostre istanze. Rivendichiamo per questo un giusto accesso ai concorsi, a nessuno deve esserne preclusa la partecipazione.

Brunetta, Lei è chiamato a fare il bene del Paese, lo tenga a mente. Questo malcontento generale è indice di una forte insoddisfazione. Lei ha provato ad acuire un divario tra ricchi e meno abbienti, non glielo permetteremo. Il lavoro è sacro, giù le mai dal nostro futuro

Impostazioni privacy