L’occhio dell’Antitrust tedesca su Google: si aprono le indagini per far luce

L’Antitrust tedesca (per la precisione l’Ufficio federale dei cartelli) ha deciso di aprire due indagini su Google e la società Alphabet con lo scopo di valutare la presenza di eventuali criticità, come l’esistenza di una posizione dominante su mercati diversi o irregolarità nel trattamento dei dati personali. Si tratta di un atteggiamento di prudenza e indagine che ha precedenti sia dentro che fuori dall’Ue, e che sembra destinato a rimanere. Almeno finché Usa e Ue non adotteranno nuovi provvedimenti per regolare il monopolio dei principali Big Tech. 

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MeteoWeek.com (da Getty Images)

Paesi che si muovono in ordine sparso, indagini, apertura di dossier: l’atteggiamento di cautela nei confronti dei Big Tech ha già dei precedenti dentro e fuori l’Ue, e con ogni probabilità è destinato a durare. Questa volta è la Germania ad essere al centro della vicenda: martedì l’Antitrust tedesca (ovvero l’Ufficio federale dei cartelli) ha aperto due indagini su Google e sulla società madre Alphabet. Obiettivo? Valutare due possibili criticità. La prima è legata a un’eventuale posizione dominante su mercati diversi (basti pensare alla compresenza di Google Maps, il motore di ricerca, YouTube e molto altro). Non è la prima volta che l’Antitrust tedesca cerca di porre l’attenzione sui grandi del web. Di recente aveva condotto indagini di questo tipo anche nei confronti di Facebook e Amazon.

In tutti questi casi, a influire sarebbe una legge tedesca entrata in vigore a gennaio, che stabilisce il divieto di pratiche anticoncorrenziali a tutte le società che abbiano una posizione dominante in settori diversi. La seconda indagine riguarda invece la presenza di eventuali irregolarità nel trattamento dei dati personali. Il dubbio sollevato è semplice e complesso allo stesso tempo: gli utenti hanno abbastanza scelta per decidere il modo in cui Google utilizza i loro dati? Per tutta risposta Google si dice disponibile alla collaborazione, ma allo stesso tempo ribadisce: gli utenti hanno a disposizione diversi mezzi per controllare le modalità di utilizzo dei loro dati. Come se non ci fosse nessuna differenza tra ottenere un minimo di trasparenza e avere possibilità di scelta.

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I precedenti in Italia

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E’ abbastanza evidente, ad ogni modo, che il problema sia diventato generale – se non globale – e che si tratta semplicemente dei primi tentativi scomposti e isolati avanzati da singoli Paesi per iniziare a porre un tema imprescindibile: il monopolio dei Big Tech. Fino a che punto continueranno ad acquisire indisturbati porzioni di mercato? Fino a che punto è possibile lasciare totale libertà di impresa a quelli che diventano a tutti gli effetti mediatori di scala globale? Sono domande che ogni Paese si pone, a modo suo. Ne è una dimostrazione anche la sanzione di oltre 100 milioni di euro irrogata il 13 maggio dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ai danni di Alphabet Inc., Google LLC e Google Italy per violazione dell’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Stando a quanto ribadito dalla nota, Google godrebbe di una posizione dominante che – attraverso il sistema operativo Android e l’app Google Play – le consente di controllare l’accesso degli sviluppatori di app agli utenti finali.

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Stando a quanto avanzato dall’Antitrust, Google non ha consentito l’interoperabilità dell’app JuicePass con Android Auto: si tratta di una funzionalità di Android che consente di utilizzare le app quando l’utente è alla guida. Ostacolando JuicePass, Google avrebbe favorito l’app Google Maps. Inoltre, JuicePass offrirebbe anche servizi funzionali alla ricarica dei veicoli elettrici, dalla ricerca di una colonnina di ricarica alla prenotazione di una colonnina. Funzionalità che anche Google Maps sta in parte mettendo a punto. Anche per questo l’Antitrust avrebbe sottolineato la condotta irregolare di Google: in questo modo la società potrebbe condizionare negativamente lo sviluppo della mobilità elettrica, proprio nel momento in cui è necessario puntare tutto sulla green economy.

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I precedenti nel Regno Unito

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MeteoWeek.com (da Getty Images)

Un altro esempio potrebbe esser tratto dalla class action collettiva contro Apple: la mobilitazione accuserebbe l’azienda di utilizzare la sua posizione dominante nella distribuzione delle app, con lo scopo di aumentare i prezzi sui consumatori, costretti a scaricare le app dall’App Store. La denuncia è stata presentata a Londra i primi di maggio e avanza una richiesta precisa: la class action chiede che l’azienda risarcisca circa 20 milioni di utenti nel Regno Unito, per un totale di circa 1 miliardo e mezzo di sterline. Una richiesta che, seppur isolata, trae forza dalle accuse della Commissione europea nei confronti di Apple: l’azienda avrebbe violato le leggi sulla concorrenza dell’Ue sfruttando la propria predominanza nella distribuzione delle app. Apple, intanto, avrebbe definito la class action come “priva di valore”. Sarà, ma il monopolio aumenta e le accuse si sommano. L’impressione è che queste iniziative non siano prive di valore, ma siano solo prive di forza, perché isolate. Almeno fino ad ora.

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