Il salario minimo e la bugia de “i giovani non voglio lavorare perché prendono il Reddito di Cittadinanza”

In Italia non c’è, eppure esiste ovunque e sarebbe un volano per l’economia. L’Italia pensa finalmente al salario minimo ma attacca il Reddito di Cittadinanza come fosse l’origine di tutti i mali.

Continua a girare da troppo tempo la menzogna secondo la quale il lavoro in Italia esiste, eccome. Il vero problema, secondo una certa narrazione ormai antica, è che i giovani d’oggi non hanno voglia di lavorare, sono troppo “choosy”, troppo esigenti come disse l’allora ministra Elsa Fornero. O peggio, il Reddito di Cittadinanza li ha trasformati in pigroni che preferiscono stare a casa e incassare un misero assegno che somiglia più a un’elemosina che a un vero e proprio sussidio, e continuare a far nulla passando gli anni più produttivi tra aperitivi, divano e movida.

Sebbene il RdC sia una misura discutibile che andrebbe ripensata quantomeno in una seria prospettiva di inserimento nel mondo del lavoro, l’idea secondo la quale ”Non c’è più manodopera perché i giovani lavoratori prendono il reddito di cittadinanza” nasconde in realtà un enorme problema che si continua a ignorare: la mancanza di una giusta retribuzione.

Tanto per cominciare in Italia manca il salario minimo, ovvero una retribuzione minima che dovrebbe essere garantita ai lavoratori per una determinata quantità di lavoro. Molto spesso i lavoratori, soprattutto quelli più giovani, non hanno capacità contrattuale, non sono quindi in grado di poter rifiutare un lavoro o contrattare con il datore la retribuzione, datore che quindi approfitta per ridurre al minimo le spese per i dipendenti (sempre qualora questi siano messi in regola). In queste settimane la politica sta finalmente discutendo la possibilità di introdurre il salario minimo, elemento che sarebbe davvero una spinta al mondo del lavoro e permetterebbe il rilancio dell’economia.

LEGGI ANCHE: In Italia dopo la pandemia le famiglie povere sono più di due milioni

L’ITALIA E’ UNA REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO”

Basterebbe leggere la Costituzione per rendersi conto della contraddizione del mercato del lavoro nel nostro Paese. Se infatti il primo articolo ci ricorda che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro (e non sul sussidio o sullo sfruttamento), l’articolo 36 stabilisce il diritto di ogni lavoratore “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa”. Nella Carta Costituzionale pur affermandosi apertamente il diritto a un salario minimo, non è possibile individuarne una misura concreta. Qui è quindi chiamato a intervenire il legislatore, cosa che finora non è avvenuta.

LA FUNZIONE DEL SALARIO MINIMO GARANTITO

La principale finalità del salario minimo è quella di contrastare la povertà attraverso la garanzia di una retribuzione che sia proporzionata al lavoro svolto. In tale prospettiva lo Stato interviene nella contrattazione collettiva, limitando la libera determinazione dei salari operata dal mercato e dal datore di lavoro. In questo senso tale obiettivo può essere raggiunto secondo tre diverse modalità: aumentare il salario al di sopra della soglia di sussistenza, fissata dagli attuali standard; istituire una retribuzione che abilita il lavoratore a qualcosa che va oltre la semplice sussistenza; portare i lavoratori più poveri verso il limite inferiore della classe media, così davvero da rinunciare al RdC e permettere innalzare il proprio livello socio/economico.

Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea

IL SALARIO MINIMO IN EUROPA

Come detto in Italia il salario minimo non c’è, eppure è previsto in ben 21 dei 27 Stati dell’Unione europea. Fuori dal club, insieme al nostro Paese, ci sono soltanto Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia. Stando ai dati forniti dal Sole 24 Ore, dieci Stati situati nella parte orientale della Ue hanno salari minimi inferiori a 700 euro al mese: Bulgaria (332), Ungheria (442), Romania (458), Lettonia (500), Croazia (563), Cechia (579), Estonia (584), Polonia (614), Slovacchia (623) e Lituania (642). In altri cinque Stati membri, situati principalmente nel Sud, i salari minimi erano compresi tra 700 euro e poco più di 1100 euro al mese: Grecia (758 euro), Portogallo (776 ), Malta (785), Slovenia (1024) e Spagna (1108).

LEGGI ANCHE: M5s e Pd proseguono il dialogo, ma chiedono tempo e cautela

Degli altri sei Stati membri, tutti situati nell’ovest e nel nord, i salari minimi erano superiori a 1500 euro al mese: Francia (1555), Germania (1614), Belgio (1626), Olandai (1685), Irlanda (1724) e Lussemburgo (2202). Lo indica un rapporto Eurostat. Il salario minimo federale negli Stati Uniti è 1024 euro. Salari minimi superiori al 60% della retribuzione mensile lorda mediana ci sono in Francia, Portogallo, Slovenia e Romania.

Sulla base degli ultimi dati disponibili dall’indagine quadriennale sulla struttura dei guadagni, nel 2018 i salari minimi rappresentavano oltre il 60% della retribuzione mensile lorda mediana solo in quattro Stati membri: Francia (66%), Portogallo (64%), Slovenia ( 62%) e Romania (61%). Al contrario, i salari minimi erano meno della metà del salario mediano in sei Stati membri: Croazia, Cechia e Lettonia (49% tutti), Spagna (44%), Malta (43%) ed Estonia (42%).

LEGGI ANCHE: Fisco, giugno 2021 è da incubo

Già da aprile la Commissione Europea sta pensando a una proposta di questo genere che dia risposte all’impatto della crisi del Covid-19, particolarmente duro per i lavoratori a basso salario, come gli addetti alle pulizie e alle vendite al dettaglio, gli operatori sanitari e quelli impegnati nell’assistenza residenziale e a lungo termine, ma mira anche a gettare le basi per una ripresa economica sostenibile e inclusiva. Se fissati a livelli adeguati, si legge nel documento di presentazione della Commissione, i salari minimi non solo hanno un impatto sociale positivo, ma apportano anche benefici più ampi all’intera economia, perché riducono la disuguaglianza salariale, aiutano a sostenere la domanda interna, contribuiscono a ridurre il divario retributivo di genere e, proteggendo i datori di lavoro che pagano salari dignitosi ai lavoratori, garantiscono una concorrenza leale tra le imprese.

Impostazioni privacy