Pride LGBT: dalla Turchia all’Arabia Saudita, i Paesi che si oppongono alle manifestazioni

Non solo l’Ungheria, ma la discriminazione e l’opposizione alle manifestazioni LGBT arrivano da molti paesi asiatici e africani. Nel mese del Pride LGBT sono in tanti a vietare le manifestazioni per i diritti della comunità. 

La maggior parte degli Stati che si oppongono alle manifestazioni LGBT si trovano in Asia e in Africa. La Turchia, paese proteso verso Occidente, vieta il Gay Pride per il settimo anno di fila.La marcia era prevista per domani nel quartiere di Maltepe, nella periferia asiatica di Istanbul, ma le autorità l’hanno ritenuta “non appropriata” per ragioni di sicurezza e ordine pubblico. L’evento, secondo loro, avrebbe potuto portare ad “eventi ed azioni provocatori”.

Il corteo di Istanbul si terrà comunque: “Non potranno impedire alle persone Lgbt di riunirsi e rendersi visibili” dicono gli organizzatori. Già negli scorsi giorni, la polizia è intervenuta per disperdere cittadini e fermare alcuni degli attivisti. Non è la prima volta in Turchia: fino al 2014 il Pride ha portato in piazza migliaia di persone pacificamente. Dall’anno successivo la marcia è stata messa al bando e la repressione delle forze dell’ordine è stata durissima.

La Turchia è uno dei pochi stati dell’area mediorientale a considerare legale l’omosessualità. Il governo conservatore di Erdogan sta facendo molti passi indietro in materia di diritti civili. Il suo Governo non è però il solo a vietare anno dopo anno la Marcia dell’Orgoglio Lgbt. La Turchia però non è però l’unico Paese nel mondo che si oppone alle manifestazioni LGBT. Tra i Paesi delle Nazioni Unite sono 69, cioè quelli che considerano un reato i rapporti tra persone dello stesso sesso.

Non solo l’Ungheria, manifestazioni LGBT illegali in molti paesi

Mentre da Bruxelles arriva la lettera firmata di 16 paesi europei che si oppongono alla legge di Orbàn che discrimina la comunità LGBT e mette a repentaglio i diritti umani e i valori su cui si fonda l’Ue, dal resto del mondo arrivano altre espressione di discriminazione nei confronti della comunità LGBT.

In alcuni di questi però, come in Tunisia, si tratta soprattutto di una formalità e le manifestazioni si tengono comunque. In altri 37 stati africani la partecipazione al Pride è fortemente contrastata. Le azioni più decise, e spesso sanguinose, in questo senso avvengono Nigeria, Kenya e Uganda.

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In Asia sono 21 i Paesi in cui è illegale sventolare la bandiera arcobaleno. Tra questi alcuni importanti partner politici e commerciali dell’occidente, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ma anche Iran, Afghanistan e Yemen, stato in cui non si è mai tenuto un corteo Pride, anche in via non ufficiale. In tutti questi, persino in quelli apparentemente più moderni, vige la Sharia, la legge sacra islamica, che vieta ogni tipo di comportamento omosessuale.

Non solo Asia e Africa,  l’Europa non se la passa meglio

In estremo oriente arriva l’opposizione alla manifestazione dal parte del regime militare del Myanmar e quello nordcoreano di Kim Jong-un. Anche in Cina, dove fino al 2019, per dieci anni, si è tenuto uno dei cortei più rappresentativi al mondo, lo Shangai Pride, la manifestazione del 2020 è stata annullata. A quella di quest’anno è toccata la stessa sorte.

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Ma anche senza guardare troppo lontano, la stessa Europa mostra ancora segni di arretratezza in questo senso e la situazione non è migliore, nonostante non vi siano dittature o viga la Sharia. La Russia, nonostante i ripetuti appelli della Corte europea dei diritti dell’uomo, il tribunale di Mosca nel 2012 ha proibito la marcia Lgbti+ per i successivi 100 anni. In Polonia invece il divieto, imposto a Varsavia nel 2005, è stato dichiarato illegale, mentre in Ungheria, nonostante la discussa legge anti Lgbti+ e l’atteggiamento conservatore del governo Orbàn, le manifestazioni si svolgono regolarmente.

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