Chiede ai suoi alunni di sputare ad un bimbo: maestra condannata

Una maestra ha chiesto ai suoi alunni di sputare ad un bimbo, come metodo educativo. Ad oggi l’insegnante viene condannata.

La maestra Cristina Canevarolo, 66enne di Isola Vicentina, aveva messo in fila ventidue bimbi di prima elementare dicendo loro di mimare il gesto di sputare contro un compagno di classe, considerato un po’ troppo vivace. L’episodio è avvenuto nel novembre 2013 nella palestra della provincia berica.

Punita la maestra che aveva chiesto ai suoi alunni di sputare ad un compagno di classe: grida all’ingiustizia

A distanza di otto anni la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’insegnante, condannandola a un mese e dieci giorni di reclusione e al pagamento di cinquemila euro di risarcimento danni alla vittima. La Corte suprema non ha dubbi: a prescindere da quali fossero le sue intenzioni, quella mattina la maestra ha compiuto un reato: «L’abuso di mezzi di correzione o disciplina integra il comportamento dell’insegnante che faccia ricorso a qualsiasi violenza, fisica o morale, ancorché minima e orientata a scopi educativi».

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Il piccolo S. aveva sei anni, frequentava la prima elementare e quella mattina di scuola aveva lezione di ginnastica con la maestra Canevarolo, docente con quarant’anni di esperienza e un curriculum impeccabile. Il bimbo era stato visto più volte sputare per terra e verso le altre persone. Spazientita, la maestra aveva deciso di punirlo, costringendolo, secondo i giudici , «a subire a sua volta l’umiliazione di essere bersaglio di sputi da parte di altri suoi compagni di classe».

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La maestra si era giustificata sostenendo che quello era stato «un gioco educativo, il role play» che aveva già applicato con successo in passato. Inizialmente la tesi difensiva aveva convinto la procura di Vicenza, che si era schiarata per l’archiviazione del caso. Ma il gip, invece, aveva accolto l’opposizione dell’avvocato della mamma, chiedendo l’imputazione coatta che si era conclusa con la condanna per il reato di abuso dei mezzi di correzione.

Oggi la maestra è in pensione e continua a rivendicare la propria innocenza, a dispetto della verità emersa dai processi: «Ho la coscienza a posto perché so di aver agito rettamente, con l’unico obiettivo di far comprendere all’alunno il suo errore. Vivo questa condanna come un’ingiustizia: ora dovrò versare un risarcimento, quando in realtà quel giorno ho soltanto contribuito alla sua educazione».

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