Rivolte in Kazakistan: cosa vogliono i manifestanti e perché interviene la Russia

Da inizio gennaio il Kazakistan è in ginocchio a causa delle violente rivolte, con i manifestanti che hanno preso di mira gli edifici governativi. La popolazione chiede prezzi di carburante calmierati e più democrazia. La Russia è scesa in campo. 

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rivolte in Kazakistan, scontri nella città di Almaty (foto via CNN)  – meteoweek.com

Giunta poche ore fa, la notizia che il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev ha nominato Alikhan Smailov come nuovo primo ministro. Il parlamento del Kazakistan ha eletto il funzionario 49enne, in precedenza ministro delle finanze del Kazakistan dal 2018 al 2020, durante una sessione trasmessa in diretta nazionale. Il governo è stato destituito nelle scorse ore dallo stesso presidente Kassym-Jomart Tokayev, a causa delle violente rivolte e proteste che, iniziate la scorsa settimana dopo l’aumento vertiginoso dei prezzi del carburante, stanno al momento flagellando il Paese.

Anche le truppe straniere si ritireranno dal Paese, ha spiegato oggi Tokayev al parlamento. “La missione principale delle truppe CSTO (Collective Security Treaty Organization) è stata completata”, ha affermato il presidente kazako. Nel frattempo, il presidente russo Vladimir Putin, che ha inviato le sue truppe lungo i confini del Paese per aiutare a sedare i disordini, ha accusato le forze esterne di aver orchestrato le rivolte: “Gli eventi in Kazakistan non sono il primo e non saranno nemmeno l’ultimo tentativo, da parte di forze esterne, di interferire con gli affari dei nostri Stati”, ha dichiarato Putin.

Ma cosa sta succedendo realmente in Kazakistan? Cosa ha portato alle rivolte, e perché hanno addirittura richiesto l’intervento delle truppe russe?

Il quadro storico, politico ed economico del Kazakistan

Il Kazakistan è uno stato situato nell’Asia centrale, confinante con Russia e Cina. Con una popolazione di soli 19 milioni di persone, ha ottenuto la sua indipendenza nel 1991, a seguito del crollo dell’Unione Sovietica. Si tratta tuttavia di un Paese d’importanza strategica, dato che possiede alcune delle più grandi riserve di petrolio del mondo. E infatti, suo è il vanto di una produzione pari a 1,6 milioni di barili al giorno – produzione che ha ovviamente attirato l’attenzione di fruttuosi investimenti esteri. Come di solito accade, però, tale ricchezza “sulla carta” non ha mai stretto la mano alla popolazione: e infatti, in Kazakistan i residenti continuano a vivere con un reddito medio di circa 2.000 euro l’anno.

Per un periodo di quasi 30 anni dopo l’indipendenza, il Paese è stato governato da Nursultan Nazarbayev, ex membro del Politburo del Partito Comunista, e fortemente legato al presidente russo Vladimir Putin. Durante i suoi anni di presidenza, Nazarbayev si è concentrato per lo più sulla riforma economica, rifuggendo da una svolta maggiormente democratica. In tal senso, allora, si possono contestualizzare le proteste pubbliche di questi ultimi giorni, che in Kazakistan sono illegali se mosse senza permesso da parte del governo. Non a caso, anche precedenti episodi di scioperi e manifestazioni sono stati repressi molto duramente dalle forze e dalle autorità locali. Sempre nel corso del suo mandato, Nazarbayev ha fatto erigere diverse statue a sua immagine e ha fatto costruire una nuova capitale, Astana – in seguito ribattezzata Nur-Sultan in suo onore. Nazarbayev, però, si è dimesso nel 2019, lasciando il posto all’attuale presidente, Kassym-Jomart Tokayev.

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rivolte in Kazakistan, scontri nella città di Aktau (foto via The Moscow Times)  – meteoweek.com

Le manifestazioni che hanno oggi portato all’elezione del nuovo primo ministro, il 49enne Alikhan Smailov, sono iniziate il 2 gennaio nella città di Zhanaozen, snodo petrolifero e già triste palcoscenico di scontri mortali tra i manifestanti e la polizia poco più di 10 anni fa. Da Zhanaozen, poi, le rivolte si sono diffuse in tutto il resto del Paese. Al momento, secondo quanto viene ufficializzato dal ministero dell’Informazione, pare che vi siano stati in tutto 44 decessi (sebbene in precedenza si era parlato di 164 morti). Si tratterebbe di rivoltosi rimasti uccisi nella città di Almaty durante gli ultimi, violenti scontri. Secondo quanto offerto dal resoconto delle forze dell’ordine locali, i manifestanti avrebbero cercato di prendere il controllo delle stazioni di polizia e degli edifici governativi della città. Le parole del presidente Tokayev contano “20.000 criminali“, che avrebbero attaccato la città e molti dei quali sarebbero in realtà dei militanti islamici addestrati all’estero.

Sempre secondo quanto viene riferito dalle fonti ufficiali kazake, sarebbero circa 1.000 le persone rimaste ferite, di cui 400 in modo grave e attualmente ricoverate in ospedale. Sarebbero poi 9.000 i manifestanti arrestati e ora detenuti. Per cercare di gestire la situazione, che ha portato l’esecutivo a dichiarare lo stato d’emergenza, è stato inoltre istituito un coprifuoco, ed è stato varato il divieto di ogni tipo di assembramento.

Lo scoppio delle rivolte: cosa vogliono i manifestanti?

Ma cosa ha portato lo scoppio delle rivolte? La miccia è stata accesa dalla mossa del governo, che ha alzato il tetto massimo sul prezzo del GPL. In questo senso è bene considerare che molti cittadini hanno convertito le loro auto appositamente per sfruttare questo carburante, poiché più economico rispetto ad altri combustibili. Chiaramente, la rabbia della popolazione ha radici ben più profonde – dalle pressanti disparità sociali ed economiche, aggravate da una pandemia che non molla, alla mancanza di una vera democrazia. Con l’intensificarsi delle proteste, le richieste dei manifestanti sono passate quindi dall’abbassamento dei prezzi del carburante, fino a quella di una più ampia liberalizzazione politica. In breve, i manifestanti stanno chiedendo la cacciata delle forze politiche che hanno governato il Paese senza una reale opposizione fin dal 1991.

Posto davanti a richieste del genere, dura è stata la reazione dell’esecutivo. Il presidente Tokayev ha definito i manifestanti “una banda di terroristi“. Dichiarato il Kazakistan “sotto attacco” e attivando lo stato d’emergenza, Tokayev ha autorizzato le forze di sicurezza a “sparare senza preavviso” e ha richiesto l’intervento dell’alleanza militare di cui fa parte il Paese – guidata dalla Russia.

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rivolte in Kazakistan, i manifestanti ad Almaty (foto via Deutsche Welle) – meteoweek.com

Il governo ha anche cercato di sedare le manifestazioni bloccando i cittadini sul fronte “digitale”, oscurando siti, social network e app di messaggistica istantanea – tra cui per la prima volta la cinese WeChat. Tutto questo per evitare che la popolazione possa organizzarsi e darsi appuntamento in nuove manifestazioni non autorizzate. Al contempo, però, per placare le violenze il governo è venuto in un certo senso a compromessi con le richieste dei manifestanti, licenziando il gabinetto e annunciando il possibile scioglimento del Parlamento – fatto che porterebbe a nuove elezioni. La rabbia della gente comune, però, non si placa, e pare che potrebbero essere attivate linee ancora più stringenti. Supporti al governo, del resto, stanno arrivando anche dall’esterno, con la Turchia che ha annunciato di essere pronta a “mobilitare ogni mezzo”, e la Russia che ha già fatto scendere in campo i suoi militari.

L’intervento della Russia

I paracadutisti russi, giunti in Kazakistan su richiesta del presidente per aiutare a “stabilizzare” il Paese, sono stati inviati sotto l’autorità dell’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva (CSTO), un gruppo di paesi comprendente Russia, Kazakistan, Bielorussia, Tagikistan, Kirghizistan e Armenia, istituito dopo il crollo dell’Unione Sovietica. I media internazionali parlano di 2.500 soldati, provenienti da tutti gli stati membri della CSTO ma principalmente dalla Russia.

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L’Organizzazione “giustifica” l’invio delle truppe come forza utile al mantenimento della pace, e il cui scopo è quello di proteggere dagli attacchi dei rivoltosi le installazioni statali e militari, i gasdotti, le basi militari russe e la stazione spaziale russa a Baikonur. Ma per Putin, quanto sta accadendo in Kazakistan diventa un’opportunità per rafforzare l’influenza russa nel Paese. Del resto, le manifestazioni e le rivolte hanno messo in luce la poca affidabilità dei leader di cui il Cremlino si è fidato per mantenere l’ordine nel Paese. Tali scontri, inoltre, si presentano come la terza rivolta lanciata contro una potenza autoritaria allineata al Cremlino, scoppiata dopo le proteste in Ucraina nel 2014 e quelle in Bielorussia nel 2020. Un clima del genere, allora, minaccia l’influenza di Mosca nella regione, in un momento in cui la Russia sta cercando di affermare la sua forza e il suo potere geopolitico già in paesi come, per l’appunto, l’Ucraina e la Bielorussia.

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Ad ogni modo, il Kazakistan è d’importanza strategica anche per gli Stati Uniti, essendo il Paese un importante centro di interesse energetico per le americane Exxon Mobil e Chevron – reduci di investimenti miliardari proprio nella zona occidentale, la regione in cui sono iniziati i disordini ad inizio mese. Sebbene inoltre abbia stretti legami con Mosca, il governo kazako ha mantenuto buoni rapporti anche con la Casa Bianca, con gli investimenti petroliferi visti come contrappeso all’influenza russa. Come spiegato poi dai media americani, il governo degli Stati Uniti si è sempre rivelato molto meno critico nei confronti dell’autoritarismo post-sovietico del Paese, rispetto a quanto invece è avvenuto con la Russia e la Bielorussia.

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