La crisi in Bosnia prossima ventura. Cieli cupi sulle elezioni di ottobre

La Bosnia fa tornare alla mente di tutti noi una terribile crisi della Storia recente.

Quando pensiamo alla crisi in Bosnia, pensiamo a qualcosa di confinato in un doloroso passato. Tuttavia purtroppo non è così. La Bosnia Erzegovina di oggi attende le elezioni di ottobre in un clima di tensione che potrebbe esplodere in modo preoccupante. La Bosnia è una terra che sembra vivere di tensioni, di rabbia e di fazioni che schiumano per ottenere l’occasione di una rivalsa sull’avversario vero o presunto che sia. Forse il periodo più intenso di crisi in Bosnia è datato tra la fine del XIX secolo e l’inizio del ventesimo secolo. Una turbolenza continua che avrebbe condotto l’Europa verso la prima guerra mondiale. Poi, la lunga parentesi jugoslava.

Una tensione mai sopita

Con la fine della Jugoslavia abbiamo avuto quella sorta di esplosione centrifuga che ha portato questo sventurato popolo alla terribile guerra che tutti ricordiamo. Un vero e proprio massacro nel quale oltre 100.000 persone sono state trucidate. La violenza barbara del massacro di Srebrenica è impressa a fuoco in alcune delle pagine più brutte della Storia recente. Siamo al 1995 ormai e gli accordi di Dayton sanciscono il termine del conflitto. Ma nessun accordo preso a tavolino è mai riuscito a fermare un odio cieco e bestiale che serpeggia tra la gente e gli accordi di Dayton non fanno eccezione. Oggi la Bosnia vuole aderire all’Unione Europea. Eppure la Commissione Europea proprio lo scorso anno rilevava che ancora troppe cose non andavano in questa terra.

La Commissione Europea ha rilevato ciò che gli analisti internazionali sanno benissimo. La Bosnia è oggi come ieri riserva di caccia di leader politici che gonfiano i loro discorsi di un odio e di una bellicosità che lasciano ben poche speranze. La Bosnia è un paese fortemente corrotto nel quale la vita è assai difficile. Il reddito pro capite è bassissimo e dal paese i giovani fuggono sistematicamente perché privati di qualsiasi speranza di lavoro e di una vita dignitosa. Ciò che la Bosnia di oggi offre non è un sereno panorama di un paese impegnato in una ricostruzione magari difficile. Una figura si impone minacciosa: quella del leader serbo-bosniaco Milorad Dodik.

Una politica meramente divisiva

La sua voce sparge odio, un odio divisivo ed esplosivo che trova forza in un delirante piano di ulteriore frammentazione. Dodik è il prototipo di quel leader nazionalista che propone come soluzione di ogni male l’identificazione di un’identità locale che si vorrebbe mortificata fino all’eccesso dalla convivenza con altri. Milorad Dodik rientra bene nella battuta che vede il leader nazionalista disposto a rivendicare l’indipendenza anche dello stesso pianerottolo di casa su cui vive. Il suo pallino è la Republika Srpska che ovviamente a suo giudizio dovrebbe avere la sua indipendenza. Questo clima di odio e di tensione è alimentato dunque da Dodik che chiede che la Republika Srpska si tiri fuori dalla Bosnia. Nessuno sullo scacchiere internazionale avalla una pretesa del genere, ma proprio questo stato di protratta tensione spinge molti a ritenere che forse la Bosnia non sia pronta per essere lasciata del tutto libera e dovrebbe diventare una sorta di protettorato. Ma intanto tutte le parti in campo soffiano sul fuoco della divisione.

Ma è forse proprio il ruolo della comunità internazionale l’incognita maggiore. La Bosnia è un paese che non funziona ed è dilaniato da leader bellicosi che soffiano sulla rabbia e la frustrazione, ma anche sulla miseria della gente. La comunità internazionale dovrebbe realmente trasformare la Bosnia in un protettorato con il rischio di cullare e giustificare questi leader scriteriati?

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O forse dovrebbe lasciarli a vedersela da soli?

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La seconda sarebbe forse l’opzione più lungimirante, ma il rischio chiaramente è che le cose ancora una volta precipitino.

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