I vaccini Covid-19 sono sicuri per le donne in gravidanze? I punti oscuri nell’approvazione del CDC in America

L’associazione guidata da Robert Kennedy ha scritto un lungo articolo per criticare alcuni errori fatti nell’autorizzazione del vaccino Covid-19 per le donne in gravidanza. 

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Il Children’s Health Defence è un’organizzazione non profit fondata da Robert Kennedy che ormai da anni si occupa di fornire pareri scientifici contro alcune decisioni sanitarie prese dagli enti preposti negli Stati Uniti. Alcuni giorni fa l’associazione ha pubblicato un lungo articolo contro la raccomandazione recentemente prodotta dal Center for Disease, che consiglia il vaccino Covid-19 anche alle donne in gravidanza. 

All’inizio del mese di Gennaio del 2022, l’istituzione medica americana aveva ufficialmente raccomandato, definendolo sicuro e privo di rischi, questo trattamento sanitario anche alle donne incinte, giustificando questa scelta sulla base del fatto che i dati a disposizione, permettono di certificare la sicurezze e l’efficacia del trattamento contro il Covid-19, confrontando i dati disponibili tra donne vaccinate e non durante la gravidanza, e stabilendo come non si siano ravvisati rischi o problemi di alcun tipo durante la gravidanza o nascita dei bambini. 

Il Children’s Health Defence critica aspramente questa decisione partendo dalla genesi storica sulla particolare attenzione che la medicina ha sempre rivolto a questa categoria nell’assunzione di farmaci sperimentali. Ormai da decenni infatti, le donne in gravidanza sono considerate un gruppo particolarmente vulnerabile nella somministrazione di farmaci. Nel 1977 ad esempio, la Food and Drugs Administration aveva pubblicato delle linee guida per le sperimentazione farmacologica, che stabilivano come le donne in gravidanza dovessero essere escluse dagli studi clinici di fase I e II relativi ai test per nuovi farmaci e trattamenti sanitari. Una decisione che prendeva atto di quanto era accaduto in passato, quando si era scoperto che due farmaci che per lungo tempo erano stati somministrati a questa categoria di persone, avevano prodotto danni irreparabili. I due prodotti in questione erano il talidomide, che provocò la nascita di migliaia di di bambini con gravissime deformazioni agli arti e il dietilstilbestrolo, che provocava come diretta conseguenza dei tumori sia nelle madri che nei figli. Nel 1993 il National Institutes of Health Revitalization Act migliorò ulteriormente queste linee guida, stabilendo che qualsiasi sperimentazione coinvolgesse le donne in gravidanza, dovesse seguire dieci criteri specifici per tutelarne la sicurezza. Tra questi, vi era ad esempio la necessità che il farmaco in questione fosse testato in primo luogo su animali in stato di gravidanza per poterne valutare al meglio eventuali rischi. 

Il problema degli studi effettuati esclusivamente sui roditori

E la prima accusa che il CHF rivolge alle case farmaceutiche che si sono occupate di produrre i vaccini contro il Covid.19, è di aver effettuato questi studi esclusivamente sui roditori, prima di passare alla sperimentazione umana. Vi era invece bisogno che la sperimentazione riguardasse anche i primati, in quanto sono gli animali più vicini all’uomo, e gli unici realmente adatti ad avviare un pre-test che rassicurasse anche le donne in gravidanza. Un rapporto di valutazione sui rischi per questa categoria redatto da Moderna però esiste, e i suoi risultati non sono incoraggianti. 

Lo studio indagava il pericolo di tossicologia riproduttiva e dello sviluppo dei feti sui ratti femmina nel corso della gestazione. Nel report veniva rilevato un aumento del numero dei feti che subivano una serie di variazioni scheletriche. A preoccupare poi era anche il fatto che gli autori dello studio dichiarassero apertamente come nessuna ricerca aveva analizzato la somministrazione dei vaccini durante il periodo in cui il feto si sviluppa embrionalmente. Anche Pfizer ha prodotto un rapporto sulla valutazione del rischio per le donne in gravidanza, disponibile sul sito dell’Ema. Nello studio pubblicato a Febbraio 2021, veniva riferito come nei ratti in gravidanza a cui si era somministrato il vaccino, si fosse verificato un aumento di due volte della perdita preimpianto rispetto al gruppo di controllo non vaccinato. Ma non solo perché i ricercatori della casa farmaceutica avevano anche riscontrato “un’incidenza molto bassa di gastroschisi, malformazioni bocca / mascella, arco aortico destro e anomalie delle vertebre cervicali”.  Due report ufficiali che più che rassicurare la popolazione sulla sicurezza di questi farmaci per le donne in gravidanza, gettavano invece nuovi e inquietanti dubbi sulla loro sicurezza. 

Gli errori fatti nell’analisi e nel monitoraggio dei gruppi di controllo

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Fino ad Aprile 2021, il CDC in America consigliava la vaccinazione alle donne in gravidanza soltanto dietro consulto medico, e la prima domanda che si pone il CHF è se ai medici e agli ostetrici sia stato richiesto di informarsi obbligatoriamente di questi rischi negli studi animali. Non un quesito da poco, considerato che molti medici possono benissimo essersi accontentati di visionare il trial di sperimentazione clinica ufficiale, basato su cavie umane.  

Ma non solo, perché già lo scorso anno il CDC aveva condotto una rilevazione che vale la pena analizzare. In uno studio che si era servito del database fornito dal Vaccine Safety Datalink si erano identificate circa 46 mila donne in gravidanza che avevano già partorito Il 20 per cento di queste, avevano ricevuto una dose di vaccino durante la gravidanza in un periodo che va da dicembre 2020 a luglio 2021. Quasi tutte le donne che fanno parte di questo 20 per cento, avevano ricevuto il vaccino tra il secondo e il terzo trimestre. Il CDC aveva stabilito nel report che il tasso di morti premature era addirittura più alto nelle donne non vaccinate, con una percentuale del 7 per cento, rispetto al 4,9 per cento di chi aveva ricevuto una o due dosi di vaccino. Un’evidenza che portò gli autori a sostenere che “la ricezione del vaccino COVID-19 durante la gravidanza non è stata associata ad un aumentato rischio di parto pretermine o SGA alla nascita”.

Su questa base dunque, il centro americano aveva stabilito la sicurezza delle somministrazione anche per questa categoria di persone. Il CHF sostiene che gli autori che hanno redatto lo studio per conto del Cdc abbiano condotto diversi errori che ne hanno influenzato i risultati. 

Il primo di questi errori riguardava la scelta dei componenti dei gruppi di sperimentazione. Vi era ad esempio una percentuale di donne afroamericane di tre volte superiore nel gruppo non vaccinato rispetto a quello vaccinato. Un particolare non da poco considerato che è stato lo stesso CDC a certificare a suo tempo come le donne afroamericani abbiano una predisposizione genetica che le porta ad avere un rischio di parto prematuro molto più alto e che può essere superiore fino al 50 per cento. Anche l’obesità, considerato nel mondo scientifico un altro grave rischio che porta ai parti prematuri, è presente nel gruppo dei non vaccinati in misura maggiore, 29 per cento contro 23 per cento. In entrambi i gruppi vi erano poi soggetti che avevano contratto il Covid. È anche in questo caso c’è una sproporzione tra i due gruppi, con il 3,5 per cento delle infezioni nel gruppo non vaccinati contro il 2,8 per cento nei vaccinati. Inoltre, nello studio del Cdc non si fa alcun tipo di riferimento a quando in queste donne gravide è stata scoperta l’infezione. E questo è un altro fattore che mina la credibilità dello studio, in quanto contrarre un’infezione virale a inizio gravidanza aumenta di molto il rischio di perdere il bambino. Stabilire quando una donna in gravidanza ha contratto l’infezione in entrambi i gruppi, è fondamentale per uno studio accurato sul rapporto rischio-beneficio. Nel gruppo dei vaccinati sono poi pochissime le madri che hanno ricevuto il vaccino durante il primo trimestre, il momento in cui è più probabile riscontrare problemi e diventa difficile comprendere come si possa valutare il rischio in tal senso. 

I conflitti di interesse degli scienziati coinvolti nel trial clinico di Pfizer

Sulle 10 mila donne vaccinate nel gruppo, solo 172, ovvero l’1,7 per cento ha ricevuto il vaccino durante il primo trimestre. Eppure lo stesso Cdc alla fine di questo studio, ha ritenuto ci fossero sufficienti dati per consigliare questi farmaci anche alle donne in gravidanza recente. 

C’è poi anche un problema dell’affidabilità degli studi prodotti. In primo luogo perché gli studi del Cdc si basano su dati che non sempre sono pubblici come in questo caso. Questa è la prima criticità perché non permette a uno scienziato indipendente di criticarli in modo coerente e scientifico, mancando la base di dati su cui si è svolto lo studio. Senza dimenticare come queste analisi scientifici non siano soggetti a revisioni e correzioni da parte di scienziati indipendenti. E infine, non bisogna dimenticare un paradosso a cui ormai sembriamo essere assuefatti. Queste considerazioni prodotte dal Cdc sulla sicurezza dei vaccini Covid, arrivano ad un anno da quando la sperimentazione è stata incentivata su base globale. 

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Dunque il Cdc stabilisce queste linee di sicurezza e raccomandazione, soltanto dopo che il farmaco è stato sperimentato.  Il CHF fa poi notare come alcuni autori dello studio abbiano dei palesi e inaccettabili conflitti di interesse. Due dei ricercatori che lo hanno redatto hanno ricevuto finanziamenti diretti da Pfizer a Johnson and Johnson. 

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