Edy Ongaro, chi era il foreign fighter italiano ucciso in Donbass

È la prima vittima italiana del conflitto in Ucraina. Ucciso da una bomba a mano mentre combatteva per l’indipendenza del Donbass.

Militava nelle brigate che sognano un nuovo stato comunista nell’Oblast orientale, dove viveva dal 2015.

Edy Ongaro, il foreign fighter veneziano morto in Donbass – Meteoweek

Aveva 46 anni Edy Ongaro, il miliziano italiano morto in Donbass mentre combatteva i soldati di Kiev. È caduto nel villaggio di Adveedka, a nord di Donetsk. A ucciderlo è stata una bomba a mano. La notizia della sua morte, diffusa inizialmente dal Collettivo Stella Rossa Nordest, è stata confermata dall’amico Massimo Pin, in contatto coi “compagni in Donbass”.

Ongaro era veneziano, veniva da Giussago di Portogruaro, un piccolo paese di campagna. Da sette anni si trovava in Donbass, dove era andato a combattere con le brigate comuniste filoputiniane. Militava nella brigata Prizrak, che crede nell’Internazionale e lotta per trasformare la regione separatista in un nuovo stato comunista. Su Facebook si era fatto soprannominare “El Buitre” ma tutti lo conoscevano col suo nome di battaglia: “Bozambo”, in omaggio a un partigiano della Seconda Guerra mondiale. Il 46enne diceva che a farlo combattere a fianco dei ribelli del Donbass era la memoria delle violenze fasciste sofferte dalla sua famiglia.

Nome di battaglia: “Bozambo”

Una vita non facile quella di “Bozambo”, scappato in fretta e in furia dall’Italia nel 2015 dopo essere finito in mezzo a una rissa in un bar di Portogruaro. Qui aveva preso a calci il barista avventandosi poi anche su un carabiniere. Rilasciato dal giudice in attesa di essere processato, Ongaro era scomparso facendo avere notizia di sé solo tramite social.

Ma era già in Donbass, dove si era arruolato nella brigata Prizrak, un battaglione innervato prevalentemente da foreign fighter. Lì era considerato una sorta di eroe per il suo coraggio. Aveva soprannominato “Anita” il suo kalashnikov, in onore della moglie di Garibaldi. Era ammirato perché non temeva di lottare sotto le bombe contro il governo giallo e blu di Kiev, accanto a “tutti i civili neo-russi che hanno visto l’inferno in terra”. “Questo è il nostro giorno”, scriveva dopo che Putin ha riconosciuto l’indipendenza delle due repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk. “Finché ci sarà aria nel mio corpo, finché il sangue scorrerà, da qui non uscirò mai, la mia scelta è quella di restare qui“, aveva detto al suo arrivo in Donbass.

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