Il Donbass, epicentro del conflitto tra Mosca e Kiev, è un’area contesa da anni. Ecco perché si combatte nella regione.
Il conflitto in Donbass si è radicalmente intensificato ma è da almeno otto anni che si guerreggia in quell’area.
Il 21 febbraio 2022 il presidente russo Putin ha riconosciuto le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk. Si tratta di due enclave russofone nel Donbass ucraino, regione nell’Est del paese. Nel 2014 le due repubbliche avevano proclamato la propria indipendenza da Kiev. Ne è scaturita una guerra che in otto anni ha provocato, secondo stime Onu, almeno 22 mila morti. Putin ha dato così seguito alla richiesta di riconoscere Donetsk e Lugansk, formalizzata ufficialmente mercoledì 15 febbraio dalla Duma.
Nei mesi precedenti erano stati distribuiti nel Donbass ucraino settecentomila passaporti russi: praticamente uno ogni famiglia. Dopo aver ammassato un ingente quantitativo di truppe sul confine, nelle ore precedenti all’invasione di Mosca era stato anche offerto del denaro (130 dollari) a ogni rifugiato che avesse deciso di fuggire dal Donbass in Russia.
Nel Donbass, anche se fuori dal territorio effettivamente sotto il controllo delle due Repubbliche, si trova il grande porto di Mariupol, molto importante dal punto di vista strategico.
Le ragioni dei combattimenti in Donbass
Tutto nasce nel febbraio 2014 con la rivolta di Maidan, la grande piazza centrale di Kiev, quando settimane di proteste e di barricate terminano con la precipitosa fuga a Mosca di Viktor Yanukovich, il presidente filorusso contrario all’entrata dell’Ucraina nella Nato.
Mosca reagisce da una parte invadendo la Crimea russofila, dall’altra favorendo l’insurrezione del Donbass. Il 6 aprile 2014, alcuni gruppi armati filorussi prendono d’assalto i palazzi del governo centrale nell’Est del paese e conquistano diverse città, mentre Mosca manda i suoi «consiglieri militari». Il nuovo governo ucraino, filoccidentale, che ha perso la Crimea senza reagire, chiama «terroristi» gli insorti e manda l’esercito. È l’inizio di una serie di orrende stragi, culminate nel rogo di Odessa e nell’abbattimento del Boeing malese dove muoiono in 298 (17 luglio 2014).
A due di questi episodi – la strage di Odessa e la rivolta di piazza Maidan – ha fatto espresso riferimento Putin nel messaggio alla nazione russa con cui annunciava il riconoscimento delle due repubbliche filorusse.
Perché il Donbass vuole staccarsi dall’Ucraina
Il Donbass vuole staccarsi da Kiev per diversi ordini di motivi: anzitutto perché raappresenta un irrinunciabile «cuscinetto di sicurezza» per la Russia, nell’eventualità che la Nato si allargasse in Ucraina; nella zona sono presenti inoltre grandi miniere di carbone e le acciaierie degli oligarchi russi. Infine in Donbass c’è anche una Chiesa ortodossa fedele a Mosca, dalla quale si è di recente separata la Chiesa ortodossa ucraina (anche questo fatto è stato menzionato nel discorso di Putin del 21 febbraio).
C’è poi il problema della lingua russa, alla quale nel Donbass nessuno vuole rinunciare. Nel 1996, cinque anni dopo l’indipendenza, l’ucraino è stato inserito in costituzione come unica lingua ufficiale dell’Ucraina. Yanukovich, subito dopo la sua elezione, adottò una legge per parificare russo e ucraino nel Donbass. Ma dopo la sua fuga la legge venne dichiarata incostituzionale. Allo stato attuale l’ucraino è l’unica lingua ufficiale e nelle scuole il russo si può insegnare solo come se fosse una lingua straniera. E la quasi totalità dei film (il 90%) deve essere in lingua ucraina. Una situazione che, come è facile intuire, ha inasprito ulteriormente le tensioni.
Cosa sono gli accordi di Minsk?
Da parte russa si accusa l’Ucraina di non aver mai voluto dare applicazione agli accordi di pace sottoscritti a Minsk nel 2014-2015, che prevedevano tra le altre cose la concessione di un’ampia autonomia alla regione del Donbass. L’Ucraina, che respinge gli accordi di Minsk perché li considera squilibrati, ha reagito definendo il riconoscimento delle due repubbliche del Donbass come «un’aggressione senz’armi». Kiev vedeva in questa mossa la premessa di un patto di mutuo soccorso con Mosca, pretesto per un’invasione nel momento in cui le minoranze russe avessero denunciato di aver subito un attacco da parte di Kiev.
Kiev temeva, come poi è avvenuto, la ripetizione dello schema seguito da Putin nel 2008 in Georgia, dove la Russia, dopo aver riconosciuto come indipendenti due repubbliche separatiste filorusse (Abkhazia e Ossezia del Sud) si lanciò in una guerra lampo ai danni della Georgia che aspirava, come l’Ucraina, a entrare nella Nato.
Un mese dopo una dèbacle dell’esercito ucraino, nell’agosto del 2104, Kiev e i ribelli del Donbass siglarono le due tregue di Minsk, «Minsk 1» e «Minsk 2». Il primo documento non entrò mai in vigore finché nel 2015, dopo un’altra sconfitta ucraina a Debaltseve, Francia e Germania riuscirono a mediare arrivando a «Minsk 2»
Un mese dopo una grande sconfitta delle truppe ucraine, nell’agosto 2014, Kiev e i ribelli del Donbass firmarono le due tregue di Minsk. Il primo documento, «Minsk 1», non è mai entrato in vigore: nel 2015, gli ucraini subirono un’altra disfatta a Debaltseve e fu a quel punto che Francia e Germania s’attivarono per un nuovo negoziato, «Minsk 2». Seguì un periodo di rilassamento da parte della comunità internazionale. Ma la guerra, seppure a bassa intensità, non si è mai veramente arrestata, con le due parti in causa a scambiarsi accuse reciproche: gli ucraini accusano i russi di non essersi mai ritirati, i russi accusano gli ucraini di non aver rispettato gli accordi e di servirsi di contractor occidentali. C’è stato un ultimo accordo di pace a Parigi, nel 2019, mai applicato.
Che guerra è stata fino ad adesso in Donbass?
Fino ad adesso in Donbass c’è stata una guerra «congelata» o a «bassa intensità». Il che comportava, all’atto pratico, decine e decine di violazioni giornaliere della tregua, tanto che i ragazzini delle scuole di confine hanno fatto l’orecchio e sono in grado di riconoscere dal fischio il calibro dei razzi. Di fatto il Donbass è una specie di enorme campo minato dove tutto parla della guerra. Un milione e 600 mila persone devono vivere in un posto a mezza via tra la Bosnia e l’Afghanistan dove si stima che per sminare tutto, anche se la guerra finisse oggi, occorrerebbe lavorare fino al 2080.
Chi comanda a Donetsk e Lugansk?
I due presidenti di Donetsk e Lugansk, Leonid Pasechnik e Denis Pushilin, sono pedine o pupazzi a seconda degli attori di questa specie di Risiko molto realistico. Pedine per Putin, pupazzi per Biden, i mass media ucraini li definiscono «terroristi separatisti».
Leonid Pasechnik, 51 anni, si considera un militare per il suo passato nei servizi segreti ucraini, dal 2017 è a capo della Repubblica di Lugansk. È soprannominato «Magadan», come la città dei gulag staliniani che si affaccia sull’Oceano Pacifico. Lì è cresciuto infatti da ragazzino e il suo amore per la Russia si è cementato in una roccaforte russofila come Lugansk.
Una storia, la sua, diversa e parallela a quella dell’altro presidente, il 40enne Denis Pusilin, ex pasticcere e affarista, più attento alla foggia e al colore dei vestiti che non alle virtù militari. Fondatore di un partito filorusso a Kiev (con poca fortuna, avendo raccolto solo lo 0,08%) e disoccupato al momento della rivolta di Maidan, si schierò definitivamente dalla parte di Mosca e da lì avanti la sua carriera politica salì di livello.
Va anche detto che i leader di queste repubbliche durano poco (ne sono stati uccisi sei in otto anni) e sono velocemente sostituti o fatti dimettere “volontariamente”