Il Regno Unito va a caccia di immigrati di “qualità” e chiude le porte ai laureati italiani

A fine maggio il governo britannico concederà un visto d’ingresso speciale agli «Individui ad Alto Potenziale».

Ovvero ai laureati nelle più prestigiose università europee. Tra di loro però non c’è neanche un ateneo italiano.

Porte chiuse in Gran Bretagna per i laureati italiani. Il 30 maggio il Regno Unito lancerà un visto speciale per gli studenti laureati nei migliori atenei del mondo. Ma nella lista compilata dal governo britannico non c’è nemmeno un’università italiana.

Come si sa, a seguito della Brexit è possibile mettere piede nel Regno Unito – se non per motivi turistici – unicamente con un’offerta di lavoro in mano e soddisfacendo diversi altri requisiti, tra i quali un salario minimo che si aggira attorno ai 30 mila euro annuali.

Londra però ha pur sempre fame di cervelloni e giovani talenti. Per attirare i quali ha pensato di varare il visto per High Potential Individuals, «Individui ad Alto Potenziale». Insomma, i laureati nell’ultimo lustro in prestigiose università straniere. Per loro i britannici hanno in serbo un visa di due anni (tre nel caso dei dottorati di ricerca). I super laureati potranno ottenerlo anche senza avere già un lavoro. A una condizione però: aver preso la laurea in una delle università elencate dal governo britannico.

Una lista esclusiva di 37 atenei per «Individui ad Alto Potenziale»

I britannici hanno stilato l’elenco sulla base di tre classifiche accademiche internazionali: quella del Times Higher Education, la QS World University Rankings e la Academic Ranking of World Universities.

A dire il vero l’Italia – almeno nella seconda classifica – non sarebbe messa poi così male. Svetta con La Sapienza negli studi classici e si trova al settimo posto per numero di atenei in classifica. Eppure non c’è posto per le università italiane tra i 37 atenei selezionati da Londra. Inutile dire che a farla da padroni sono i laureati americani, Ivy Leaguers in testa. Per gli europei solo cinque università: i due Politecnici svizzeri di Losanna e Zurigo, l’Università di Monaco per la Germania, l’ex École Normale Supérieure di Parigi e la Karolinska di Stoccolma.

Agli italiani non basta nemmeno la laurea alla Normale di Pisa, alla Bocconi o al Politecnico di Milano, per non parlare dei classicisti della Sapienza. Tutti troppo scarsi per gli albionici. Solo nel caso in cui i giovani italiani si fossero laureati in uno degli atenei stranieri selezionati da Londra potranno avere il prezioso visto. Non è infatti il passaporto a fare testo, quanto l’università di provenienza. Per aver il visa per High Potential Individuals dovranno però scucire 715 sterline (900 euro all’incirca). Alle quali andranno aggiunti circa 750 euro all’anno come contributo al servizio sanitario inglese. In più dovranno dimostrare di aver sul proprio conto corrente bancario 1270 sterline, cioè circa 1500 euro.

Il cambio di strategia britannico: verso una immigrazione di “qualità”

Nei due (o tre) anni di permanenza nel Regno Unito potranno cercarsi un lavoro e passare così a un visto permanente. Il nuovo visto per super laureati segna un cambio di passo nella strategia inglese post-Brexit. Londra vuole passare da un modello di immigrazione imperniato sull’importazione di manodopera europea a basso costo e bassa qualifica (baristi, camerieri, lavapiatti, ecc., per essere chiari) a un modello capace di attirare individui altamente qualificati da tutto il mondo.

Un cambio di strategia che pare vincente. Se gli ingressi dai paesi dell’Unione europea sono colati a picco, in compenso gli ultimi anni hanno assistito a un’impennata di arrivi di ingegneri, tecnici e esperti informatici dall’Asia e dall’Africa. Il paradosso è che con l’addio all’Europa il Regno Unito non ha chiuso le porte. Anzi le ha spalancate. Ma a un diverso tipo di immigrazione, più selezionata e di “qualità”. Alla quale ora si aggregheranno anche gli «Individui ad Alto Potenziale». Ma tra di loro – per fortuna o purtroppo, verrebbe da dire con Gaber – non ci saranno gli italiani. Che magari se ne faranno una ragione e metteranno a disposizione del Belpaese – e non di Sua Maestà – potenzialità, talenti e competenze acquisite nelle università nostrane.

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