Draghi: “Essenziale che Putin non vinca la guerra. Politica energetica Ue non tornerà come prima”

Il presidente del consiglio italiano cerca di trovare il bandolo della matassa in un contesto internazionale sempre più complesso.

Con la crisi alimentare e quella energetica dietro l’angolo cominciano a emergere distinguo e incrinature tra i partner europei.

“Non possiamo immaginare che, dopo il conflitto, la nostra politica energetica tornerà come prima. Quello che è successo è troppo brutale. Dobbiamo muoverci ora per cambiare i nostri fornitori di energia nel lungo periodo”. È il pensiero del presidente del consiglio Mario Draghi, intervenuto alla sessione sull’Ucraina del vertice straordinario europeo a Bruxelles.

“È essenziale che Putin non vinca questa guerra”, ha detto Draghi. Ma, ha aggiunto, “allo stesso tempo dobbiamo chiederci se può essere utile parlargli. Sono scettico dell’utilità di queste telefonate, ma ci sono ragioni per farle. Queste conversazioni dimostrano che è Putin a non volere la pace”.

Malgrado ciò, mantenere una linea aperta con Putin è necessario per trovare una soluzione al problema del grano e per la sicurezza in campo alimentare. È concreto – ribadisce Draghi – il pericolo di una crisi alimentare. Il rischio di una catastrofe alimentare – ha detto il premier – è reale: e se non ci sarà una soluzione, dovrà essere chiaro che la colpa è di Putin”.

I temi caldi del vertice europeo

Così Draghi ha parlato a un vertice che si appresta a affrontare le questioni più calde e divisive. Come quella delle sanzioni petrolifere. A volere fortemente il summit di fine maggio è stato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Ma molti capi di stato europei avrebbero preferito farne a meno. Il motivo? Perché mette a rischio la tenuta di quell’unità tra paesi europei che, fino ad adesso, è stata la principale risorsa di Bruxelles contro Mosca. Il braccio di ferro sull’embargo al petrolio russo potrebbe infatti finire con un’intesa al ribasso: il blocco delle importazioni di greggio via mare escludendo però quello fornito a Ungheria, Germania e Polonia con l’oleodotto Druzhba.

Una soluzione che certo non dispiace a Viktor Orban ma non ai leader di quei paesi che, da giorni, chiedono che le sanzioni mantengano il “level playing field” – ossia la parità delle condizioni – che è anche un caposaldo del mercato unico europeo. Il “patto politico” su cui si regge l’esenzione dell’embargo per il petrolio via oleodotto si basa sull’impegno preso dalla Polonia e, soprattutto, dalla Germania di arrestare le importazioni da inizio 2023. Ma cosa succederebbe se gli impegni, magari dopo il taglio del gas da parte di Mosca, non venissero rispettati? Mario Draghi, infatti, da una parte ha insistito sulla necessità di unità sulle sanzioni ribadendo l’assenso dell’Italia all’ultima proposta sul petrolio russo. Ma dall’altra ha messo in chiaro che le misure non devono portare a “squilibri” tra gli stati dell’Unione. Un tema particolarmente sentito all’Italia, che esporta il petrolio russo solo via mare.

In campo energetico l’Italia chiede interventi determinati e consci del fatto che, col conflitto in Ucraina, si è avviato un processo ormai irreversibile. Non solo Roma, ma anche Madrid e Atene chiedono interventi netti in campo elettrico e energetico. Anzitutto il price cap, sul quale rimane il veto dei paesi nordici ma che ad ogni modo, sulla spinta dell’emergenza, è entrato nelle conclusioni del vertice Ue. Ma sono anche a tema i finanziamenti che proiettino l’Unione in una nuova epoca non soltanto nell’energia, ma anche nella difesa.

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