Covid, così la pandemia ha peggiorato assistenza ai malati di cuore

Con la crisi pandemica è nettamente peggiorata in tutto il mondo la qualità dell’assistenza in caso di problemi cardiaci. 

Sono aumentati i tempi per ricevere cure e trattamenti in caso di gravi eventi cardiaci, aumentando così il rischio di mortalità.

C’è già chi parla di “danno collaterale globale”. È successo, tanto per cambiare, con la pandemia e conseguente la crisi sanitaria. I servizi cardiaci, a causa del Covid, sono stati spesso interrotti. Con un grave danno per la salute pubblica. Uno studio prevede un peggioramento delle malattie cardiache post-pandemia.

La ricerca è stata pubblicato sullo European Heart Journal a opera di un team internazionale di dottori e data scientist guidati dall’Università di Leeds. Per la prima volta uno studio dà una valutazione globale sul modo in cui i servizi cardiovascolari hanno fronteggiato la crisi da Covid-19.

Dallo studio emerge tutta la difficoltà a ricoverare in ospedale persone colpite da un evento cardiaco grave – infarto o insufficienza cardiaca – nei due anni trascorsi da dicembre 2019. Ossia nel momento in cui i sistemi sanitari di tutto il pianeta erano sotto forte pressione e le persone avevano paura di ammalarsi di Covid.

In declino ricoveri e assistenza ai malati di cuore

La ricerca mette in evidenza un sostanziale declino globale” nei ricoveri ospedalieri di persone colpite da malattie cardiovascolari. Così è cresciuto il numero di persone morte in casa o in comunità a causa di scompensi cardiaci. E anche nei casi in cui è stata fornita assistenza medica non sono mancate le carenze, al contrario. In media c’è stata oltre un’ora di ritardo per arrivare all’ospedale o per avere contatti coi paramedici. Con un maggiore rischio di mortalità, dato che le possibilità di sopravvivere a un grave infarto dipendono da un intervento medico tempestivo e appropriato.

I ricercatori hanno esaminato i dati di 189 documenti di ricerca  analizzando la ricaduta del Covid sui servizi cardiovascolari di 48 paesi in sei continenti, in un arco temporale di due anni a partire da dicembre 2019.

Malattie cardiache, il killer numero uno

Le malattie cardiache sono il killer numero uno nella maggior parte dei Paesi e l’analisi mostra che durante la pandemia le persone in tutto il mondo, le persone non hanno ricevuto le cure cardiache che avrebbero dovuto ricevere”, ha detto Ramesh Nadarajah, ricercatore clinico della British Heart Foundation all’Università di Leeds. È anche l’autore principale dell’articolo.

Ciò avrà delle conseguenze, ha spiegato. “Più a lungo le persone aspettano il trattamento per un infarto, maggiore è il danno al muscolo cardiaco, causando complicazioni che possono essere fatali o causare malattie croniche”. Dai ricercatori di Leeds giunge dunque un invito: “I sistemi sanitari devono rafforzare i sistemi per aiutare a sostenere e curare le persone le cui condizioni cardiache saranno inevitabilmente peggiori a causa della pandemia”

Impostazioni privacy