Covid, parla l’infettivologo Di Perri: “Ormai è un’influenza, difficile che attacchi polmoni”

Rialza la testa la curva dei contagi. Ma il Covid adesso fa meno paura. Le sottovarianti sono più contagiose ma meno letali.

Si va verso una gestione dei casi di Covid più simile a quella del trattamento dei casi di influenza stagionale.

Giovanni Di Perri, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino – Meteoweek

Il Covid è tornato fra noi. Ma ormai non è molto diverso da un’influenza. E andrebbe trattato come tale. “È improbabile che il virus muti riacquistando una maggiore capacità di ledere. Non gli conviene, anche per lui è meglio rimanere un addizionale. È una buona notizia perché non dobbiamo preoccuparci troppo, nemmeno delle nuove varianti”. Ne è convinto Giovanni Di Perri, che dirige il dipartimento di Malattie infettive dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino. Ne ha parlato a ‘Libero’ nel corso di una lunga intervista.

“Io al momento ho nove pazienti”, spiega Di Perri. “A tutti ho fatto la Tac polmonare perché se c’è anche solo un sospetto bisogna agire in fretta”. Ma solo uno dei nove pazienti presenta ha un’infezione da coronavirus. “Uno su nove. Non è un numero allarmante”, dice l’infettivologo. Che evidenzia come la crescita dei contagi non debba preoccupare come in passato. “Prenda il Portogallo: è stato il primo Paese a registrare un aumento dei casi con le sottovarianti di Omicron e comincia a scendere”. A differenza della variante Delta, Omicron e le sue sottovarianti, compresa l’attuale Ba 4 o 5, hanno una capacità minore di dar luogo a infezioni polmonari. Tanto è vero, prosegue Di Perri, che “da Natale a oggi abbiamo avuto tre volte i casi che abbiamo registrato prima. Però gli ospedali non sono andati gambe all’aria e non c’è stato un aumento esponenziale dei decessi. Il tutto in un momento in cui si sono pure allentate le misure anti-contagio”.

Col tempo il Covid ha perso in letalità

A finire in terapia intensiva al 90% sono soggetti anziani o con gravi problematiche pre-esistenti. Insufficienze cardiache, obesità, patologie croniche. Il coronavirus sta diventando l’equivalente dell’influenza, ed è un bene. Il virus è mutato così tanto con lo scopo di aumentare la sua contagiosità che ha perso sul lato della patogenicità. In termini semplici, non fa più così male. Merito anche dei vaccini che “hanno ridotto il rischio, ma col tempo il Sars-Cov-2 è stato meno capace di lederci”.

Omicron, spiega l’esperto, ha fatto registrare almeno 12 milioni di infezioni, anche se il numero reale è quasi certamente sottostimato. “Questa ‘lenzuolata’, mi si passi il termine, ha prodotto un’immunità spontanea che è migliore rispetto a quella vaccinale perché è più fresca e riguarda le varianti che circolano adesso”, afferma Di Perri.

Di Perri dice sì a una eventuale quarta dose in autunno, che può avere un senso, “anche con i vaccini di cui disponiamo adesso, cioè quelli prodotti sul ceppo originario di Wuhan, per i soggetti deboli. Gli immunodepressi o i fragili”. Per gli altri invece l’ipotesi migliore “sono le fiale aggiornate alla nuova variante”. Più o meno come accade con l’influenza stagionale, dove il vaccino è ‘tarato’ sul tipo di influenza circolante ogni anno.

Le prospettive future dell’epidemia

Per affrontare i problemi di gestione sanitaria del Covid, con le ancora possibili, anche se più rare, infezioni polmonari, l’infettivologo osserva che si sprecano troppe risorse in campo amministrativo, dove lavora circa la metà del personale assunto. Di Perri auspica perciò un ritorno alla mentalità in voga negli anni ’60, “quando l’ospedale era solo un centro che dava assistenza“.

Per i prossimi mesi, Di Perri invita a non fasciarsi la testa prima del tempo. “Assisteremo a una oscillazione dei casi”, dice, “ma con uno scarso impatto sulla gravità clinica“. Anche per la quarantena dei positivi occorre cambiare prospettiva, aggiunge. Il Covid andrebbe trattato come un’influenza anche a livello pratico. “Se si ha il raffreddore, si mandano i suoi famigliari a dormire alla casa al mare? Immagino di no. Sarà così anche per il coronavirus”. Sulle mascherine, conclude, “stiamo uscendo da un’ottica collettiva ed entrando in una individuale”. Mascherine dunque ancora consigliate ai soggetti a rischio. Del resto, “per ridurre i contagi dovremmo mettere in campo delle misure talmente restrittive che nessuno è più disposto a sobbarcarsi e che sarebbero inutili”.

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