I Cinque stelle strappano con Draghi sul dl Aiuti. O forse no

I pentastellati si astengono e non votano alla Camera sul decreto Aiuti. Sembra profilarsi l’apertura di una crisi di governo.

Prosegue il braccio di ferro tra Draghi e i Cinque stelle. Ma quella in corso sembra una crisi cercata da tutti, ma che nessuno realmente vuole.

Se c’è un momento in cui, forse più di altri, la politica italiana è sembrata una specie di commedia dell’arte è proprio quello di adesso. Dove ognuno sembra recitare, più che un copione, una parte o un ruolo. Un po’ come Arlecchino condannato a litigare eternamente con Pantalone.

E un po’ come accade anche con quella che qualcuno ha già definito la “crisi che si vede ma non c’è”. Un effetto ottico del gioco di ombre cinesi messo in campo dall’ipertatticismo dei Cinque stelle, che la settimana scorsa hanno votato alla Camera la fiducia sul decreto Aiuti. Salvo astenersi ieri, sempre alla Camera, sullo stesso decreto Aiuti sul quale avevano votato la fiducia.

Le “tasche piene” del premier

Un atteggiamento che ha irritato Draghi, riporta il Corriere della Sera. Che se non ci fossero in gioco la Finanziaria – per risparmiare all’Italia di finire in esercizio provvisorio – e gli accordi sul Pnrr da rispettare con l’Europa avrebbe già agito di conseguenza. Il premier infatti ha confidato a Tajani di averne «le tasche piene». Una confidenza arrivata, informa il quotidiano di via Solferino, durante una conversazione dove avvisava di essere contrario a modifiche alle norme sui tassisti sulla riforma della Concorrenza.

E quando Tajani ha messo in chiaro che Berlusconi non avrebbe assistito senza colpo ferire all’azione di logoramento pentastellata sull’esecutivo, Draghi lo avrebbe interrotto dicendo: «Non lo consentirò. Non permetterò che questa situazione si trascini a lungo. E se non si comporrà, sarò io a salire al Quirinale».

Dopo l’incontro informale di ieri col capo dello Stato potrebbe arrivarne dunque un altro, di tenore ben diverso, se giovedì il M5s non prendesse parte al voto di fiducia in Senato sul dl Aiuti. In giornata i vertici del Partito democratico — Letta e Franceschini in testa — hanno cercato di convincere Conte. Ma al Senato il gruppo grillino è fatto in gran parte di irriducibili, e il presidente del Movimento fatica a imporsi.

Draghi verso le dimissioni?

Stando così le cose, Draghi potrebbe rassegnare il mandato a Mattarella, il quale lo rimanderebbe alle Camere per verificare se il premier gode ancora della loro fiducia.

Una crisi che si aprirebbe e si chiuderebbe nel giro di alcuni giorni, a meno che la situazione non vada fuori controllo.

Sì, perché il primo a non volere la crisi – che pure sta provocando – pare essere proprio il M5S. A testimoniare questa sorta di bipolarismo politico c’è una telefonata del pentastellato D’Incà al capogruppo di Forza Italia Barelli. Quando il ministro per i Rapporti con il Parlamento ha letto che Berlusconi chiedeva una «verifica della maggioranza», D’Incà ha spiegato che «non è il caso di drammatizzare», che «sono solo schermaglie politiche», ricordando che «anche la Lega non votò il decreto sul green pass». «Ma i tuoi — gli ha replicato Barelli — minacciano la crisi su un provvedimento da 23 miliardi per famiglie e imprese».

Appare singolare che nel giorno in cui Conte fa da piromane, estremizzando lo scontro con l’esecutivo, un suo uomo di governo faccia da pompiere. Ma anche il leader pentastellato cerca di minimizzare, affermando che l’astensione sul dl Aiuti era stata anticipata. C’è chi la vede come la prova che a essere rimasti impigliati nella rete di tatticismi esasperati ci siano proprio loro per primi, i pentastellati.

Una crisi minacciata da tutti, ma voluta da nessuno

Insomma, tutti minacciano una crisi che nessuno veramente vuole. Forza Italia chiede una «verifica» pur sapendo che Mattarella realisticamente non concederà spazio alle urne, mentre i pentastellati potrebbero non votare giovedì in Senato ma quasi certamente rinnoverebbero la fiducia a Draghi. La Lega attende Pontida come una sorta di evento messianico, sapendo bene che uno strappo a settembre sarebbe ormai fuori tempo massimo. Il Pd appare intrappolato tra le agitazioni del M5s e la costruzione di un campo largo ancora in alto mare. Draghi, per quanto stanco, sa di avere il compito di guidare l’esecutivo per onorare gli impegni presi dall’Italia in un contesto di crisi internazionale, anche con una maggioranza fuori controllo e i partiti in fibrillazione pre-elezioni.

Un palcoscenico su cui tutti recitano la loro parte, ma dove tutti si muovono anche sul filo del rasoio. E dove basterebbe anche un piccolo passo falso per mandare a gambe all’aria un governo di unità nazionale ormai sfilacciato.

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