Si gioca in due giorni il destino del governo Draghi

Sta per arrivare il momento della verità per il governo presieduto da Mario Draghi, che mercoledì farà la sua comunicazione alle Camere.

Allora molte cose saranno diventate più chiare, ma i giochi potrebbero non essere stati ancora del tutto fatti.

Per capire il destino del governo guidato da Mario Draghi serviranno poco più di due giorni. Entro 48 ore circa sarà chiaro se l’esecutivo guidato dall’ex numero uno della Bce – e con lui la diciottesima legislatura – avrà ancora un avvenire o meno. In caso contrario i giochi saranno chiusi. E subito partirà, tra ombrelloni da mare e scarponi da montagna, una lunga campagna elettorale. Che per gli italiani si tradurrà in alcuni mesi di fuochi d’artificio prima del voto e della nascita di un nuovo governo.

Hanno portato a poco finora i tempi supplementari “fischiati” dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha respinto le dimissioni di Draghi invitandolo a ripresentarsi in Aula. Il capo dello Stato resta in silenzio senza intervenire dopo il passo significativo di giovedì scorso, quando ha ben delimitato il perimetro del campo da gioco e dettato i tempi della partita di governo.

In queste ore Draghi sta elaborando il discorso che mercoledì leggerà alle Camere. Ma certo al premier non sono passati inosservati i molti appelli che gli chiedono di restare. Appelli giunti dalle forze sociali e istituzionali, sia in Italia che dall’estero. I bene informati dicono che a colpirlo, in particolare, sono stati quelli dei sindaci e del personale sanitario che si è battuto contro la pandemia. Di certo c’è che Draghi sta meditando seriamente il da farsi.

L’incognita dei partiti

Le forze politiche stanno invece posizionandosi in attesa della discussione che si avvierà dopo le comunicazioni del presidente del Consiglio. Lo scenario internazionale e nazionale manda quindi chiari segnali a Draghi. Resta invece un rebus lo scenario politico italiano. Certo è difficile pensare che il premier possa decidere di continuare la corsa se dovessero continuare gli ultimatum reciproci dei partiti. Un fatto che confermerebbe il giudizio di Draghi su una maggioranza ormai in frantumi e impossibile da gestire. Con l’effetto di confermare la sua volontà di dare le dimissioni.

Le cose potrebbero cambiare invece se i toni dovessero ammorbidirsi e la larghissima parte dei partiti della maggioranza dovessero assumersi le loro responsabilità. In sostanza, quando Draghi prenderà la parola al Senato tante cose si saranno già chiarite ma non tutto sarà stato ancora deciso.

Le diverse carte da giocare in mano a Palazzo Chigi e al Quirinale

Così sono ancora diverse le soluzioni di gioco. Il premier infatti potrebbe fare le sue comunicazioni, poi ascoltare la discussione e, se dovessero esserci le condizioni per continuare col governo, aspettare un voto dell’Aula a confermargli, di fatto, la fiducia.

Potrebbe invece, dopo la fine del suo discorso e l’ascolto del dibattito, presentarsi nuovamente al Capo dello Stato per rassegnargli ancora le dimissioni. A quel punto il ruolo di arbitro della partita sarebbe nelle mani di Mattarella. Che davanti a sé avrebbe diverse opzioni. Reincaricare di nuovo Draghi avrebbe poco senso, di fronte a dimissioni ormai irrevocabili per i veti incrociati delle forze politiche. Un altro governo – il quarto dell’attuale legislatura – a pochi mesi dalla scadenza naturale, sarebbe visto come un esercizio acrobatico.

La soluzione più praticabile – anche se non quella preferita dal Colle fino a pochi giorni addietro – a quel punto potrebbe passare per lo scioglimento anticipato delle Camere, per andare al voto in una domenica tra il 18 settembre e il 2 ottobre. Dopo lo scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica, spetta infatti all’esecutivo varare un decreto per indire le elezioni in una data tra i sessanta e i settanta giorni dallo scioglimento. Si andrebbe così al voto, calendario alla mano, a inizio autunno, dopo una inedita campagna elettorale nel pieno della calura estiva.

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