Niccolo Ghedini, Travaglio ricorda senza peli sulla lingua il suo «carissimo nemico»

Il direttore del Fatto Quotidiano dice la sua dopo la scomparsa dello storico avvocato del suo “arcinemico” Silvio Berlusconi.

Il noto giornalista si lascia andare nel finale a un ricordo sorprendente del suo «carissimo nemico».

Giovedì scorso, 18 agosto, è spirato l’avvocato Niccolò Ghedini, penalista, senatore di Forza Italia e legale di Silvio Berlusconi. Uno degli storici “avversari” del Cavaliere, Marco Travaglio, ha commentato la scomparsa dell’avvocato di Berlusconi senza usare particolari cortesie per Niccolò Ghedini. Lo ha fatto alla sua maniera, con quello stile caustico e al vetriolo che da sempre lo contraddistingue. «L’on. avv. Niccolò Ghedini era un bello str***o», esordisce il direttore del Fatto Quotidiano. «L’ho sempre pensato quand’era vivo e il fatto che ora sia morto – e così presto, a 62 anni- non mi pare un buon motivo per dire il contrario». 

«Ho l’impressione – continua Travaglio – che a quella nomea tenesse parecchio, con la fatica che aveva fatto per guadagnarsela: nelle aule di tribunale, in quelle parlamentari e negli studi televisivi, dove abbiamo incrociato le lame non so quante volte sui processi al suo cliente più illustre, che lui chiamava “il Presidente” con l’aria deferente di chi gli dà del lei. Anzi, del Lei»..

Una nomea che Ghedini si era guadagnato, spiega Travaglio, coniando la formula «utilizzatore finale» nel processo Ruby «per scrollare di dosso al Presidente se non la fama, almeno l’accusa penale di putt**re di minorenni».

Quell’incontro in aereo con Ghedini

Il giornalista poi evoca un incontro casuale avuto con Ghedini, una decina di anni fa, su un volo da Venezia a Roma. I due si ritrovarono accanto sull’aereo. E allora, racconta Travaglio, «parlammo in libertà, come due carissimi nemici che non s’illudono di convincersi». Il direttore del Fatto, dopo aver cercato di spiegare a Ghedini di non essere comunista come lui e Berlusconi erano convinti, ricorda di avergli domandato: «Avvocato, lei è ricco sfondato, è un principe del foro, ha tutte le soddisfazioni dalla vita. Perché continua a sputtanarsi dietro le balle del suo capo, a fabbricare leggi ad personam, a mettere la faccia su tesi, norme e conflitti d’interessi, incluso il suo, indifendibili? Non c’è più gusto a vincere i processi nelle aule di tribunale che in quelle del Parlamento?».

Con sua sorpresa, Ghedini gli rispose: «Lo faccio perché sono affezionato al Presidente, a cui devo molto. Ma sono così bravo che l’avrei fatto assolvere anche senza quelle leggi, che ho sempre sconsigliato, perché adoro lo scontro in aula, ma di giustizia». Le leggi ad personam, gli spiegò Ghedini, le avevano volute alcuni cattivi consiglieri, non certo lui. «Dubito che avrebbe vinto anche i processi per falso in bilancio senza depenalizzare il reato», dice però di avergli replicato Travaglio. A quel punto Ghedini, racconta il direttore del Fatto, «fu onesto», finendo per ammettere: «Beh, quelli, in effetti… ».

I due “arcinemici” si congedarono senza che Ghedini chiedesse di tenere riservato quanto si erano detti. «Ma non ce ne fu bisogno», spiega Travaglio. «Non so perché non ne scrissi nulla. Forse perché, dopo averlo conosciuto un po’ meglio, temevo che fosse talmente str***o da iniziare a diventarmi simpatico».

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