Campi Rom: a Torino tutti chiusi

Entro Natale via le prime baracche, quelle dell’insediamento di via Germagnano. Poi, di seguito, tutti gli altri campi. In cambio saranno avviati percorsi di inclusione sociale: casa, formazione, lavoro.

Chiudere tutti i campi Rom, e garantire a chi ci vive casa, studio, formazione professionale e lavoro. E’ una sfida importante, che però a Torino sono convinti di poter vincere. Il Comune, insieme alla Regione, alla Prefettura ed alla Diocesi, vogliono riproporre un modello di gestione dei campi Rom che ha funzionato benissimo: il cosidetto “Modello Moi”.

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Il Moi, o meglio l’ex Moi, è un complesso di palazzine che sorgono in via Giordano Bruno, ovviamente a Torino. Tra il Borgo Filadelfia ed il Lingotto. In origine mercato ortofrutticolo, poi villaggio olimpico nel 2006, era diventata una delle più grandi aree occupate abusivamente. A partire dal 2011 centinaia di migranti extracomunitari approfittarono dello stato di abbandono per trovare riparo. Nel corso di quest’anno tutta l’area è stata sgomberata (l’ultimo atto questa estate): agli occupanti è stato offerto un percorso di ricollocazione sociale e l’area è stata bonificata. Una operazione che, come dichiarato dalla sindaca Appendino, si è svolta senza tensioni.

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Il “modello Moi” vuole ora essere riproposto per gestire i campi Rom. Un modello di gestione “soft” che può funzionare, come dimostrano i fatti. Prima di Natale le 36 persone che ancora vivono nel campo di via Germagnano saranno ricollocate. Poi toccherà, nel mese di gennaio, ad una parte del campo nomadi “Aereoporto”, in strada della Pellerina. Poi tutti gli altri. «Le azioni devono essere finalizzate al ripristino della legalità e dall’altro all’inclusione sociale delle minoranze etniche interessate», è scritto nel testo approvato dalla giunta Appendino, che ha da tempo inserito il superamento dei campi Rom nel suo programma politico.

Per affrontare l’operazione il Ministero dell’Interno ha stanziato 250 mila euro, la Regione a guida leghista 300 mila. Dovrà essere nominato un project manager che coordinerà tutti gli interventi: esattamente come per l’ex Moi. Il Comune si occuperà della bonifica delle aree, la Regione si incaricherà di reperire i fondi per i percorsi di formazione e di accesso al lavoro. La Diocesi fornirà le abitazioni. Un progetto-pilota che, se funzionerà, potrebbe essere applicabile anche in altre realtà.

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