Garante della privacy: “80 app a persona vendono informazioni personali”

Antonello Soro, che nel 2020 lascerà l’incarico, lancia l’allarme. “Sugli smartphone decine di applicazioni tracciano le abitudini degli utenti”, ha svelato.

smartphone spia app

Gli smartphone fanno ormai parte in maniera quasi totale della nostra vita. Non esiste momento della giornata in cui non agguantiamo il nostro cellulare per cercare qualcosa, per fare una telefonata o per giocare. Ma dobbiamo anche fare attenzione, perchè usare spesso questi apparecchi rischia di rendere noto al mondo ogni singolo aspetto della nostra vita e delle nostre abitudini. E a lanciare l’allarme ci ha pensato Antonello Soro.

L’attuale garante della privacy, che il prossimo anno vedrà scadere il mandato che dura ormai dal 2012, ha rilasciato un’intervista per Repubblica. E in questa intervista ha svelato particolari abbastanza pericolosi su ciò che le app per smartphone fanno anche quando non le usiamo. “Si calcola che il numero delle app in circolazione che tracciano le abitudini degli utenti, compresa la posizione, siano circa ottanta. Ottanta per ogni persona che ha uno smartphone nel mondo“. Così Soro prova a mettere in guardia gli italiani sulle autorizzazioni che vengono concesse dagli stessi utenti alle app che vengono installate.

Soro prosegue facendo capire che non sono solo le grandi aziende a carpire questo genere di informazioni attraverso le app. “In genere si pensa unicamente ai colossi del Web quando esistono aziende piccole e medie che raccolgono e vendono informazioni di ogni tipo su di noi. Fino ad arrivare a grandi banche dati dedicate a questo scopo delle quali la maggior parte delle persone non sospetta nemmeno l’esistenza“.

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Infine Soro spiega il motivo per cui le app provano a ottenere queste informazioni. Una motivazione, inevitabilmente, che è legata al business. “Se su base quotidiana sai cosa fanno i cittadini, dove vanno e cosa comprano, hai un quadro della vita di un Paese. Un vantaggio geopolitico e tecnologico, l’intelligenza artificiale viene infatti addestrata su grandi quantità di dati. Chi ne ha di più e chi li può raccoglierne senza troppi vincoli, si trova in posizione migliore rispetto a chi invece protegge le persone. Pensi alla Cina. E purtroppo oggi non c’è nulla che impedisca ad una società di Pechino di raccogliere dati in Europa. Dovremmo avere uno scudo digitale, perché non abbiamo tutele né difese“.

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