La Cassazione non ha dubbi: “Veronica ha ucciso il figlio Loris con lucidità”

I giudici della Cassazione hanno stabilito che Veronica Panarello, accusata di aver ucciso il figlio Loris “non versava in stato confusionale”. Le motivazioni dei 30 anni di carcere confermati.

Veronica Panarello in Tribunale

Nonostante, sin dall’inizio, si sia professata innocente mostrando ai media e agli inquirenti il suo profondo dolore, Veronica Panarello non è stata creduta, e non è stato creduto il suo presunto stato di ‘incapace di intendere e di volere’ sul quale avevano insistito i legali per avere almeno una riduzione della pena. La mamma che ha ucciso il piccolo Loris non ha avuto sconti di pena, i giudici di merito le hanno confermato i 30 anni di carcere. Ecco perchè.

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“Veronica Panarello non versava in stato confusionale, come la stessa ha cercato di far credere, ma, al contrario, era perfettamente cosciente e orientata nell’attività di eliminazione delle tracce del commesso reato e di depistaggio delle indagini. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni depositate nel verdetto n. 882 relativo all’udienza svoltasi lo scorso 21 novembre, conclusasi con il rigetto del ricorso della difesa della Panarello contro la condanna a 30 anni di reclusione inflitta alla donna dalla Corte di Assise di Appello di Catania nel 2016.

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Anche in primo grado, con rito abbreviato, il Gup del Tribunale di Ragusa le aveva dato 30 anni per l’omicidio aggravato del piccolo e l’occultamento aggravato del cadavere di Loris gettato nel canalone del Vecchio Mulino, escludendo la premeditazione, oltre alla condanna a risarcire le parti civili costituitesi. Ovvero dei suoceri Andrea Stival – ingiustamente calunniato dall’imputata – e Pinuccia Aprile, e dell’ex marito Davide Stival, in giudizio anche in rappresentanza del figlio minore Diego.

Secondo i supremi giudici, non meritano obiezioni le conclusioni raggiunte dai magistrati di primo e secondo grado per cui le diverse versioni fornite dalla Panarello “contraddittorie e contrastanti tra loro” non sono “in alcun modo riconducibili ad alcun disturbo o disfunzionamento cerebrale, del quale comunque non vi è alcuna evidenza scientifica e oggettiva, ma costituiscono piuttosto i tasselli di una deliberata e dolosa strategia manipolatoria e falsificatrice della realtà in un’ottica di adeguamento progressivo della propria linea difensiva alle diverse emergenze procedimentali che via via si sono succedute”. “L’imputata – è ancora scritto nelle motivazioni della Cassazione – non soffre di alcun disturbo del contatto con la realtà, nessun disturbo ideativo o percettivo (deliri, dispercezioni, trasfigurazioni della realtà su base psicopatologica) in grado di interferire sulla sua capacità di intendere, nè con riferimento all’attualità e neppure all’epoca dei fatti”.

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