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Cinema

Transfert | intervista all’attrice Paola Roccuzzo

L’attrice Paola Roccuzzo ci ha parlato del film Transfert, il thriller psicologico diretto da Massimiliano Russo a cui ha partecipato.

Parlaci di Letizia, il tuo personaggio in “Transfert”

Letizia ha una personalità davvero problematica. È introversa, non ammicca, è sempre cupa e talvolta è cattiva. È dotata di un’intelligenza acuta ed è “flaccida”. Insomma, è un personaggio che non piace! Parlando di lei credo sia inevitabile farlo anche della sorella Chiara…le due, alla fine, sono un po’ come due facce della stesa medaglia. Non a caso sono entrambe definite come “soggetti borderline”, anche se gli stati psichici dell’una e dell’altra non sono mai specificati o chiariti nel film, che non parla, ma lascia intendere e suggerisce interpretazioni poliprospettiche. La loro è una relazione malata, colta all’apice di una crisi che nasce e cresce nelle dinamiche familiari. Chiara e Letizia vivono un rapporto d’intimità simbiotico, ma al contempo ferito da un’estrema conflittualità; solo quando le due si aprono a presenze “esterne” a loro, lo psicoterapeuta ad esempio, attivano dinamiche di protezione, di difesa e salvaguardia l’una dell’altra. Nel quotidiano, però, all’interno della loro relazione, l’una cerca di “vincere” sull’altra. Letizia, fra le due, sembra soffrire di più la prevaricazione della sorella, anche se il destino di Chiara, alla fine, mostra proprio l’opposto e anzi conferma la lucidità, talvolta cinicamente razionale, di Letizia. 

Hai avuto delle difficoltà nell’affrontare il ruolo?

Mi sono documentata molto sul disturbo borderline e su quello depressivo, prima di affrontare il ruolo. Mi ha molto aiutato leggere e rileggere la sceneggiatura. Le dinamiche psicologiche dei personaggi, in fondo, erano tutte “spiegate” nei dialoghi del film e nelle scene, che si plasmano sul modello delle sedute terapeutiche. Credo che la cosa più difficile sia stata veicolare la “normalità” con la quale Chiara e Letizia affrontano il rapporto fra sorelle, controverso, invece, agli occhi dello spettatore. La loro è una rivalità che si è consolidata nel corso del tempo e si è stratificata nei loro comportamenti, nelle loro parole, nelle dinamiche e nei modi con i quali interagiscono. Una rivalità profonda, e per questo accettata come “normale”. Ciononostante, le due sanno bene di essere ciascuna il faro dell’altra, un appiglio, una sicurezza. Vanno dallo psicoterapeuta convinte di essere l’una l’accompagnatrice dell’altra, si sostengono a vicenda: Letizia non può fare a meno di Chiara, e viceversa.

Come è stato vestire i panni di Letizia?

Disorientante e divertentissimo. Credevo che Letizia fosse un personaggio molto distante da me, dal mio modo di essere e di guardare il mondo; scoprirla e dialogare con lei mi ha messo davanti ad alcune paure e inibizioni che con lei condivido; certo, ha messo in crisi alcune mie certezze, ma mi ha concesso di cambiare idea su molte cose, anche se questo mi ha mandata in confusione. Divertentissimo perché la confusione, alla fine, è un piacevole stato mentale. 

…e lavorare con il regista?

Nonostante “Transfert” sia un film corale, scomposto in molteplici punti di vista, Massimiliano ha avuto sin da subito un’intelligentissima visione d’insieme del progetto, della sua struttura come dei personaggi; proprio per questo ho sempre osservato con puntiglioso rigore l’idea che lui aveva di Letizia. Mi ha accompagnata con scrupolo nella costruzione del personaggio e abbiamo lavorato molto in prova, prima di affrontare il set; è stato molto generoso ed io approfittavo di ogni momento per carpire o imparare qualcosa da lui. 

Il tuo stile di recitazione è plasmato da qualche attore che ammiri in particolare?

 “Plasmato”, non saprei. Anche se credo sia inevitabile che ciò che ci piace, in una qualche misura, inevitabilmente ci influenzi. Da sempre subisco il fascino dei grandi attori e delle grandi attrici. Durante le riprese di “Transfert”, per esempio, sono sicura di aver avuto una “cotta” per Claudia Cardinale ne “Gli indifferenti”. 

Come ti sei trovata sul set?

È stata un’esperienza meravigliosa! Abbiamo lavorato di squadra. Gran parte delle riprese si sono svolte negli interni dello studio psicoterapeutico e la condivisione del medesimo spazio, per un prolungato periodo di tempo, ci ha “costretti” a conoscerci a fondo, a capire i tempi, i limiti e le esigenze degli altri, a rispettarli. Una “costrizione” assolutamente positiva. E poi ho conosciuto delle “persone” meravigliose, aldilà dei loro ruoli professionali e dei sadici scherzetti sul set.

“Transfert”: sei contenta del riscontro che ha avuto il film?

Sono felice, più che contenta! Ho sempre riposto una grande fiducia in questo progetto, sin da quando era inchiostro nero su carta bianca. Poi, come è ovvio, non si può negare un’iniziale paura di cosa il pubblico e la critica avrebbero potuto pensare, di come avrebbero potuto reagire. E poi, è andata!

Progetti futuri?

Massimiliano mi ha coinvolta in un nuovo progetto, di cui ha curato, come già per “Transfert”, la sceneggiatura. La prima lettura è stata spiazzante, sono rimasta davvero incollata alla sedia sfogliandone le pagine… sarà una sfida anche questa!

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