Cosa accade nella Chinatown di Milano | “I ristoranti sono semideserti”

Chinatown di Milano: uno scenario desolante. “Ristoranti semideserti e in alcuni casi si registrano insulti”. Le attività commerciali annaspano e cresce la preoccupazione su un danno economico che si preannuncia serissimo. Le conseguenze dell’allarmismo sul coronavirus

La psicosi del quartiere Chinatown di Milano. In via Paolo Sarpi lo scenario è desolante. In sole quarantotto ore il commercio si è dimezzato: e la previsione, per qualcuno ottimistica, è che, nei prossimi giorni, l’emorragia di clienti si aggraverà. “Siamo in piena alienazione da allarme collettivo – spiega Luca Sung, L presidente dell’Unione imprenditori Italia-Cina – una psicosi non giustificata né dai numeri né dai fatti. Non qui, almeno. Colpa dei social network, delle fake news. Del fatto che tutti, in questi casi, diventiamo medici e giornalisti”.

Chinatown al tempo del coronavirus è un pezzo di Milano che si svuota e scivola dentro la bolla della diffidenza a orologeria. Che guarda la gente negli occhi per spegnere le proprie angosce. Che si agita per capire infine, informazioni scientifiche a parte, che da capire non c’è niente. Mancano i cinesi o gli italiani? “I cinesi stanno in casa. E sa perché? Molti non vogliono diventare vittime di questo allarmismo che poi diventa discriminazione”, continua Sung. “Ma c’è anche chi ha paura”.

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La testimonianza diretta dei commercianti

Alle cinque del pomeriggio la situazione è preoccupante. entriamo Nelle farmacie si registra la corsa alle mascherine. “Da stamattina – spiega un titolare – abbiamo venduto 70 confezioni di mascherine. In ogni confezione ce ne sono 50”. Tremila mascherine vendute in una sola farmacia. A Chinatown ce ne sono altre tre: il trend è di dodicimila mascherine in 24 ore. “La maggior parte le comprano i cinesi. Le spediscono in Cina perché là non se ne trovano più. Solo oggi – spiegano – abbiamo raccolto ordini per altre cento confezioni. Le prendono anche gli italiani, ma meno”.

E’ bastato l’allarme dell’epidemia per aprire il varco del sospetto e del razzismo. E adesso, si viaggia con la fantasia e con i luoghi comuni. “L’ignoranza genera paura. Faccio un esempio. Un ristoratore cinese che sta qui che cosa di diverso da un ristoratore italiano? Eppure molti di noi in questi giorni i ristoranti cinesi li evitano”. Meno 50%.  “Un pò si, abbiamo paura. E la gente ha paura di noi. Ci sono dei compagni che ci evitano. Psicologicamente li capiamo. Ma poi ti chiedi: perché?”.

A Chinatown nella settimana di angoscia era tutto pronto per la tradizionale festa del Dragone. Era prevista per domani: non si farà nulla. Spaventati dal coronavirus, i cinesi di Milano – quasi trentamila, secondo le ultime stime – escono il meno possibile. E, soprattutto, non partono. “Per il nostro Capodanno (25 e 26 gennaio, ndr) un 80% di quelli che avevano prenotato i voli hanno disdetto”. Nella galleria di accesso, alle sei di sera, si contano al massimo sette persone. Con settanta si ottiene il numero, a occhio, dei riders che stazionano fuori dal Mc Donald’s in fondo all’arteria che percorre il quartiere.

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