Coronavirus allarme: “Si è costretti a scegliere chi salvare”

In Lombardia è già in atto un protocollo per stabilire con quale priorità gestire le emergenze di fronte alla carenza di posti letto e di macchine per la respirazione assistita.

(Photo by Marco Di Lauro/Getty Images)

Ospedali al collasso in Lombardia

Sono sempre di più, anche con messaggi che arrivano sui social, in video, i reparti del nord Italia che gridano all’emergenza medica. Pochissimi i posti liberi in rianimazione e in isolamento. Le macchine per la ventilazione assistita, indispensabili per chi è in insufficienza respiratoria, sono praticamente esaurite. Quasi tutti gli ospedali più grandi hanno fatto richiesta di altri dispositivi ma di fatto in molti reparti la situazione è quasi al collasso.

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Scelta drammatica

Di fronte a una situazione del genere ai medici tocca anche una valutazione molto rigida e impietosa. Salvare chi ha una maggiore possibilità di sopravvivere. Ieri si è appreso dell’esistenza di un vero e proprio protocollo che sarebbe già stato diffuso tra i dirigenti sanitari ospedalieri, da applicare in caso di criticità insuperabili. Oggi sull’argomento è intervenuta anche Flavia Petrini, presidente della Siaarti, la società scientifica che riunisce anestesisti e rianimatori: “In circostanze come queste saltano i criteri abituali legati al colore con cui si arriva al Triage in base alla propria emergenza, o al turno di arrivo al pronto soccorso. Il protocollo cui ci si affida è un documento tecnico in cui ogni caso viene discusso nella sua singolarità e sulla base del quale si avvisano i parenti”.

Il “protocollo lombardo”

Il documento è stato redatto e diffuso in Lombardia dove quasi tutti i maggiori ospedali sono in una situazione davvero critica: “La priorità è sempre il malato e la sua salvaguardia ma oggi, purtroppo, non avendo posti letto e non avendo macchine per la respirazione assistita, siamo costretti a dovere decidere chi attaccare al ventilatore e chi no. Il principio della cura intensiva tutela sempre a chi ha la maggior speranza di vita era già stato utilizzato. Non si tratta di una condotta professionale, il medico è sempre tenuto a salvare sempre e comunque chiunque. Ma qui siamo di fronte a una situazione straordinaria che porta in ospedale non solo le persone che hanno contratto il coronavirus ma anche tutte quelle che soffrono di patologie preesistenti gravi, o che arrivano in ospedale per una caduta, un incidente stradale, per qualsiasi altro motivo esuli dal contagio”.

Se non si può trasferire

Trasferire i malati era un’altra soluzione, ma in questo momento trasportare i più gravi è difficile e rischioso. E poi manca il personale che praticamente è tutto in servizio, a ciclo continuo. I primi ospedali militari, come quello di Baggio, possono accontentare un numero limitato di pazienti, una sessantina, tra quelli meno gravi. La terapia intensiva può appoggiarsi solo alle sale operatorie, trasformandole in altre unità di crisi per i pazienti a rischio. Ma questo significa sospendere qualsiasi attività chirurgica o limitarla a quelle di massima urgenza.

Dopo i tagli, le carenze

Il coronavirus purtroppo tocca un nervo scoperto della nostra sanità… quello dei tagli: “Per anni sono stati tagliati posti letto e accorpati reparti che in un’emergenza come questa sarebbero serviti. Ora c’è un’emergenza da affrontare con la massima concentrazione possibile – conclude la dottoressa Petrini – ma quando tutto sarà finito dovremo discutere con ministero e regioni l’organizzazione e i carichi di lavoro”.

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Il monito dell’OMS

Ieri, Mike Ryan uno dei massimi dirigenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – pur senza riferirsi all’Italia – aveva in un certo qual modo anticipato questo tema che diventa drammatico per i medici che non sanno come fare fronte all’emergenza: “Mi auguro solo che questo dramma riporti all’attenzione di tutti la salute delle persone e di chi ha più bisogno – ha detto Ryan nella sua conferenza stampa quotidiana sul coronavirus a New York – perché per anni chi ha gestito la sanità ha tagliato costi, parlato di produttività come se l’ospedale fosse  una fabbrica. Il che va bene quando ti limiti a gestire il quotidiano. Se, come in questo caso hai una vera emergenza, il sistema collassa. E in questo momento sta collassando un po’ ovunque: segno che non si è fatto un buon lavoro di pianificazione e di gestione delle risorse”.

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