Fase 2, come il Governo dovrebbe prepararsi ai contagi di ritorno

L’emergenza sanitaria non è ancora rientrata ma, dopo il blocco annunciato da Conte, le autorità italiane hanno iniziato a lavorare subito sulla Fase 2 del lockdown. Al Governo stanno cercando di capire come gestire la riapertura delle attività. Così si volge lo sguardo alla Cina, che diventa un punto di riferimento per capire come poter ripartire senza commettere errori che sono stati già commessi.

Fase 2 e contagi di ritorno: le responsabilità del Governo

Quello che preoccupa di più gli esperti, oltre alla difficoltà di trovare il compromesso perfetto tra tutela della salute pubblica e rilancio dell’economia, sono i cosiddetti contagi di ritorno: ovvero una probabile seconda ondata di infezioni causata dall’allentamento delle misure di contenimento.

Per questo motivo, anche se è chiaro che le priorità adesso sono quelle di dover far fronte all’incredibile numero di ammalati e al collasso finanziario che l’attuale pandemia sta causando (sia a livello nazionale che internazionale), l’Italia farebbe bene ad adottare i prossimi provvedimenti con cautela, riducendo al minimo i rischi e prendendo delle decisioni che tengano conto -appunto – persino dei possibili contagi di ritorno. Il Governo, ad oggi, ha una precisa responsabilità: ovvero agire pensando anche alla peggiore delle ipotesi.

Coronavirus, come prepararsi alla Fase 2

Per cominciare, è giusto che la task force formata da Conte parta da una valutazione obiettiva e apolitica degli eventi scatenanti lo scoppio della pandemia. Bisogna capire ciò che è andato storto non solo a livello scientifico, ma anche sociale. Cause ed effetti del virus, così come una sua probabile cura, è ovvio che ci interessano, ma nell’attesa dobbiamo imparare a convivere con il Coronavirus in maniera più responsabile possibile se vogliamo ripartire.

Se non vogliamo stare fermi ancora per molto, bisogna capire come e da dove riprendere la nostra vita, sia da un punto di vista lavorativo che sociale.

Fino ad ora pare che l’intenzione del Governo sia quella di procedere per gradi: riaprire e monitorare, con aggiornamenti ogni 15 giorni che tengano conto anche dell’eventuale aumento dei contagi. Ma se le persone tornano a riammallarsi? Che si fa? Si chiude tutto di nuovo? La necessità di porre in essere alcune azioni è ovvia e nella Fase 2 deve concretizzarsi. Da qui nasce l’esigenza di lavorare ad una legislazione che tenga conto anche di eventuali contagi di ritorno.

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Essere prudenti è fondamentale, ma questo non vuol dire fare dei passi indietro se e qualora le cose dovessero mettersi male. Bisogna farsi trovare preparati ed avere un piano B.

Sarebbe il caso, per esempio, di pensare a dei diversi ammortizzatori sociali e intervenire sul lavoro, adattando tutto ai tempi della pandemia. L’intervento dello Stato non deve essere solo di tipo assistenziale, ma deve accompagnare e rendere sostenibile l’organizzazione diversa delle attività produttive.

Intanto cresce il malcontento nei confronti dell’Europa

Il Fondo monetario internazionale ha affermato che le conseguenze economiche di quello che ha definito il “Grande blocco” saranno le più devastanti dalla Grande Depressione degli anni ’30. Molti economisti, però, sono convinti del fatto che ritornare troppo rapidamente alla vita normale, senza le misure di sicurezza necessarie per prevenire una seconda ondata di contagi, potrebbe semplicemente peggiorare la situazione.

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A Bruxelles, intanto, la pandemia ha spinto l’Unione europea a rivedere tutti i suoi piani e a concentrarsi sulla lotta al Coronavirus. Il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha affermato che il prossimo bilancio dovrà essere ripensato come “la nave madre della ripresa”. Tuttavia, con la bocciatura degli Eurobond e l’Ue che fatica a trovare un punto di incontro, in Italia comincia a crescere il malcontento nei confronti dell’Europa.

C’è da chiedersi, dunque, se insieme alla crisi post Coronavirus non dovremmo fare i conti anche con una possibile crisi politica, magari spinta e voluta dai partiti antieuropeisti che, dopo Brexit, auspicano un’ItalExit.

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