Coronavirus, le 106 “zone rosse” d’Italia: aree a forte rischio di contagio

Sono 106 al momento le zone rosse in Italia: paesi, città ed aree intere in cui il Covid 19 è presente con numeri importati, ed il pericolo è altissimo.

All’inizio furono Codogno e Vò Euganeo: sembra passato tanto tempo, era appena la fine di febbraio. Poi il contagio è esploso e le aree ad alto rischio, nelle quali migliaia di persone si ammalavano e morivano, e dove ospedali e terapie intensive collassavano si sono moltiplicati in maniera esponenziale. L’8 marzo la zona rossa si allargò alla Lombardia intera e ad altre 14 province: Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti, Vercelli, Novara, Verbano Cusio Ossola, Alessandria. Che ora non sono più zona rossa: segno che i provvedimenti presi dal governo hanno funzionato, almeno in parte. Attualmente in Lombardia e Piemonte non ci sono zone rosse, anche se ovviamente – sopratutto in Lombardia – l’attenzione è molto più alta che in altri luoghi d’Italia.  Ora le zone rosse sono principalmente concentrate in Emilia Romagna: ben 70, sulle totali 106 presenti su tutto il territorio nazionale. Le altre sono individuate nel centro sud del paese: 10 in Calabria, 6 in Abruzzo, 5 in Molise, 4 in Basilicata, 4 in Sicilia, 3 in Campania, 3 nel Lazio, una in Umbria. Si tratta ovviamente di un elenco in costante evoluzione, che è strettamente legata alle ordinanze dei governatori che allargano e restringono le aree di emergenza in base all’evoluzione dell’epidemia. Una gestione virtuosa e preventiva, relativa anche – probabilmente – alle carenze infrastrutturali della rete ospedialiera sopratutto in alcune zone del Meridione.

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«Le zone rosse saranno una delle misure importanti quando non ci sarà piu il lockdown del paese», ha spiegato Gianni Rezza dell’Iss, sottolineando l’importanza di isolare le aree che mostrino la nascita e lo sviluppo di un focolaio. A proposito di focolai, resta critica la situazione delle Residenze Sanitarie Assistenziali, le ormai – purtroppo – famigerate Rsa all’interno delle quali si sono registrati il 44,1% dei contagi. «Le Rsa rappresentano il punto debole rispetto all’epidemia in corso, ma questo sta accadendo in tutti i Paesi e non solo in Italia» ha commentato Silvio Brusaferro dell’Istituto Superiore di Sanità, sottolineando quello che ormai è chiaro: le Rsa andavano gestite in modo diverso, mentre invece sono state rese – e la Lombardia è un esempio – quasi tutte focolai di infezione. Questo ha comportato un numero impressionante di morti: una lezione da imparare, un errore da non ripetere. «Proteggere i nostri anziani resta una priorità assoluta, anche in virtù dell’eterogeneità di queste strutture, che sono sia riabilitative sia residenziali. É il tratto debole della lotta al Covid-19» ha aggiunto Brusaferro. Ma non sono solo le Rsa a preoccupare, e ad indicare la fragilità del nostro sistema sanitario: un esempio è quello che sta avvenendo a Castilenti, un paesino del teramano inserito nell’elenco delle “zone rosse”. Non c’è un presidio sanitario, non c’è un medico, ma ci sono un numero alto di infetti: il sindaco Alberto Giuliani, disperato, ha scritto a regione, prefettura, provincia e procura per chiedere aiuto.

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