Nicola Porro sulla liberazione di Silvia Romano: “Ecco cosa non mi torna”

Il giornalista Nicola Porro si è espresso sulla liberazione di Silvia Romano, sulla sua conversione e sull’abito che la giovane ha indossato per il suo rientro in Italia. Sono diversi i punti che non tornano in questa faccenda, secondo Porro, e in merito a ciò si è confrontato anche con l’antropologa Maryan Ismail.

silvia romano - nicola porro

In un’Italia travolta dal coronavirus, una buona notizia ha fatto uscire un po’ di sole dalla fosca nube della pandemia. La liberazione della giovane Silvia Romano, che proprio il giorno della festa della mamma ha potuto riabbracciare finalmente, dopo più di un anno di prigionia, la sua famiglia, i suoi cari.

Una vicenda che sul web ha già fatto molto, forse anche troppo discutere, tra odiatori seriali e paladini della giustizia che si sentono in diritto di sentenziare da dietro uno schermo. Però, tra i vari commenti che si sono susseguiti in questi giorni, giunge ora un nuovo editoriale proposto da Nicola Porro, in occasione dell’ultima puntata di Quarta Repubblica, la sua trasmissione regolarmente in onda su Rete 4.

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Porro: “Cosa non mi torna della liberazione di Silvia Romano”

“Premesso che la liberazione e il rientro in Italia di Silvia Romano è una bellissima notizia per lei, la sua famiglia e per tutti noi, ci sono però alcune cose di questa vicenda che non mi tornano“. Esordisce così, nel recente articolo pubblicato sul suo sito ufficiale, Nicola Porro. Un articolo nel quale viene condivisa una parte del duro editoriale dedicato alla liberazione della giovane Silvia Romano.

Secondo il giornalista, in effetti, sarebbero troppi gli interrogativi che una vicenda del genere lascia ancora nascosti: il riscatto, la conversione, l’accoglienza in grande stile di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, e persino l’abito tradizionale islamico indossato da Silvia – lo stesso abito che Porro aveva già definito come “la sconfitta dell’Occidente“.

“Le immagini dell’arrivo di Silvia Romano in Italia mi hanno fatto subito pensare che ci fosse qualcosa che non funzionasse, mi hanno fatto dubitare del primo sentimento che uno dovrebbe avere nei confronti di una persona che è sta rapita”. E per “cercare di capire che cosa non gli piacesse”, come ospite di questo suo editoriale il giornalista ha dunque invitato anche la scrittrice e antropologa somala Maryan Ismail. Una donna che vive con il lutto della morte del fratello, “trucidato dalle stesse milizie che hanno rapito la nostra connazionale”, e che per questo le ha scritto una lettera.

La lettera di Maryan Ismail a Silvia Romano

La lettera di Maryan Ismail viene ampiamente condivisa da Nicola Porro, tanto che ne ha dunque letto durante la trasmissione qualche breve frammento. I passaggi scelti dal giornalista sono quei punti in cui si trova maggiormente d’accordo con l’antropologa, e che sollevano gli interrogativi ancora troppo opachi della faccenda legata alla liberazione di Silvia Romano.

Si parla dell’abito della giovane volontaria, un abito che “non ha nulla di somalo, bensì è una divisa islamista che ci hanno fatto ingoiare a forza”. Un abito che viene imposto con la forza alle donne somale, che gli ha tolto tutti i colori della loro tradizione, perché nei confronti della violenza islamista diventa come una sorta di protezione davanti alla perdita della loro libertà.

Si parla dell’Islam a cui si è convertita Silvia, quello “quello pseudo religioso che viene utilizzato per tagliarci la testa, che violenta le nostre donne e bambine, che obbliga i giovani ad arruolarsi con i jihadisti, che ha decimato politici, intellettuali, dirigenti, diplomatici e giornalisti”. Ma “non è Islam questa cosa, è nazifascismo e adorazione del male. Puro abominio”.

Per questo, allora, per Porro così come per Ismail quel vestito, quella “palandrana simbolo di oppressione“, quella “tenda verde” non convince. E non convince nemmeno “l’immorale e devastante esibizione dell’arrivo di Silvia data in pasto all’opinione pubblica senza alcun pudore o filtro. In Italia nessun politico al tempo del terrorismo avrebbe agito in tal modo nei confronti degli ostaggi liberati dalle Br o da altre sigle del terrore”.

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Quelle immagini, dunque, “non ci spiegano in che molto Silvia si è convertita, non ci spiegano il suo travaglio, non ci spiegano il suo avvicinamento spirituale. Si tratta di un’immagine che mostra proprio quello che noi, da 30 anni, stiamo vivendo nel nostro Paese“, spiega dunque Maryan Ismail. E all’ultima domanda di Porro, l’antropologa così risponde: “Si tratta di una vittoria della comunicazione jihadista che a me disturba e preoccupa tantissimo”.

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