Padre Albanese: “Su Silvia Romano asteniamoci dal giudizio”

Il padre comboniano Luigi Albanese, a lungo missionario in Kenya, conosce bene il mondo che per diciotto mesi è stato quello di Silvia Romano. E sulla base di questo ammonisce: “Non diamo giudizi”.

Silvia Romano

Cosa possa significare vivere diciotto mesi nelle mani dei miliziani jihadisti di Al Shabab è difficile perfino da immaginare: ecco perchè non è il caso di esprimere giudizi su Silvia Romano e su quello che può aver determinato le sue scelte. Questo in sintesi il pensiero del padre comboniano Luigi Albanese, che conosce bene gli ambienti dai quali provengono i rapitori kenyani di Silvia. E conosce anche cosa sia la Jihad islamica somala, il gruppo Al Shabab: «Prima di stupirsi, forse ci si dovrebbe rendere conto di che cosa significhi finire nelle mani di Al Shabaab. È l’equivalente di Boko Haram in Nigeria. Gente che te ne fa di cotte e di crude. Chi conosce la tradizione spirituale e mentale di questa ragazza? Scrivono che forse è incinta, che ci ha offeso presentandosi vestita così, che “abbiamo pagato per una musulmana”… Direi che sia il caso d’astenersi da ogni giudizio» afferma con sicurezza padre Albanese in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera.

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Miliziani di Al Shabab

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Una esperienza che può essere stata tremenda, quella di Silvia, e che potrebbe averla spinta a convertirsi per salvarsi: “Non sappiamo quali siano le condizioni spirituali e mentali di una giovane che sopravvive a un anno e mezzo con gente che ti può far fuori. Non sappiamo quanto sia stata libera. Leggo che si parla di sindrome di Stoccolma. Ma è prematuro. Chi spara giudizi con tanta leggerezza, non sa che cosa sia vivere in Somalia. Un Paese che dal 1991 è in uno stato spaventoso» spiega ancora il comboniano, facendo riferimento alla situazione di enorme insicurezza nella quale ha molto probabilmente vissuto Silvia per un anno e mezzo. Anche perchè in gioco c’era la sua stessa vita, molto probabilmente: “L’Islam fanatico ti spinge a uno scambio: la tua conversione in cambio della tua vita. Ne ho conosciuti tanti, di ‘convertiti’. Ho scritto anche un libro sui bambini costretti a combattere, sul lavaggio del cervello che subiscono. Ho visto il sorriso di Silvia, all’aeroporto di Ciampino. Ma quel sorriso non mi dice nulla. Non mi convince. C’è sotto qualcosa di molto più complesso. Io una volta sono stato sequestrato solo pochi giorni, e mi sono bastati per capire come si esca con le ossa rotte, da quelle esperienze”. Vicissitudini tremende, che scavano solchi profondi nella mente e nella sfera emotiva e che possono portare a scelte paradossali: “Ti puntano il fucile: o ti converti, o ti ammazzi. Non è una vacanza alle Maldive. Lo choc psicologico scava a lungo. Ricordiamo tutti le ragazze rapite da Boko Haram in Nigeria. Ce ne siamo fregati, perché tanto non erano europee. Ma erano tutte cristiane o animiste, costrette a convertirsi. Chi oserebbe trattarle col disprezzo con cui ora viene trattata da qualcuno Silvia? aggiunge padre Albanese, ribadendo i motivi per cui non è possibile – secondo lui – esprimere giudizi sulle scelte di Silvia Romano. Bisognerebbe aver vissuto le sue stesse esperienze, e – per fortuna – alla maggior parte di chi oggi la critica non capiterà mai.

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