Tragedia in Myanmar: frana in miniera, almeno 113 morti

E’ quanto avvenuto sui confini dello Stato Kachin, situato tra Myanmar e Cina, più precisamente nel distretto Wai Khar. La frana è avvenuta in una miniera di giada, a causa di infiltrazioni di acqua dovuta alle piogge. Al momento, sono 113 i minatori deceduti. 

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(Foto di Ye Aung Thu, da Getty Images)

E’ avvenuto a Myanmar, più nello specifico nel distretto di Wai Khar, sul confine dello Stato Kachin, tra Myanmar e la Cina del Nord: all’interno di una miniera di giada situata nel Nord del Paese ha avuto luogo una frana dovuta alle piogge. Ad annunciarlo il dipartimento dei vigile del fuoco del Paese, che hanno affermato: “I minatori di giada sono stati investiti da un’ondata di fango che ha colpito (la miniera) dopo forti piogge”. Poi hanno sottolineato: le squadre di soccorso sono ancora sul posto. Intanto arriva il primo tragico bilancio, pubblicato dal dipartimento sulla propria pagina Facebook: “Un totale di 113 corpi è stato trovato finora”. Ma le operazioni di soccorso devono ancora sfidare le fortissime piogge, subendo notevoli rallentamenti, come sottolineato da un agente di polizia.

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Così, si ripete quanto già avvenuto ad aprile dell’anno scorso all’interno delle miniere di giada della Myanmar Thura Gems. Stessa cosa di quanto avvenuto stamattina all’interno del distretto di Wai Khar, vicino al luogo della tragedia avvenuta un anno fa, la quale aveva causato più di 60 vittime. Oggi i primi numeri della catastrofe sembrano notevolmente più alti: 113 vittime, alle quale quasi sicuramente si aggiungeranno altre salme, visto che al momento i soccorsi sono stati interrotti a causa delle condizioni atmosferiche. Stando alle prime stime, fornite da U Kyaw Min, amministratore del distretto, “ne troveremo lì sotto almeno altri 100“. Un bilancio destinato a salire, dunque, nonostante gli sforzi dei soccorsi che devono affrontare anche un enorme massa di detriti depositatasi in fondo al canyon.

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(da Getty Images)

Stando a quanto è emerso fino ad ora, l’acqua piovana si sarebbe riversata nell’invaso creato da ammassi di terra e sassi prelevati. Questo materiale viene trasportato nei siti dove i lavoratori si accalcano per selezionare le pietre preziose. Con un valore che va dai 160 ai 200 dollari al grammo, infatti, la giada è al centro di uno smercio imponente. Nonostante questo, o forse proprio a causa di questo e al sistema di corruzione endemica che sorregge questo commercio, le condizioni di sicurezza dei lavoratori restano precarie. La frana di oggi ne è l’ennesima dimostrazione. Un commercio miliardario che arriva nei negozi di lusso tra Cina, Hong Kong, Singapore, Taiwan, Europa e America, ma che non riesce ancora a creare condizioni lavorative adeguate a coloro che fanno parte della fase iniziale della filiera.

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A riportare i dati sulle condizioni di irregolarità con le quale viene estratta la giada è il Natural Resource Governance Institute di New York. Secondo l’istituto la quantità di giada estratta non registrata e capace di sfuggire alle autorità fiscali è tra il 59% e il 74%. La Repubblica, poi, riporta anche i dati della Ong Global Witness, secondo cui già nel 2014 lo smercio di giada tra militari, indipendentisti e compagnie cinesi superava i 30 miliardi di dollari. Un mercato che sembra destinato a crescere, vista la scarsa disponibilità di giada e la grandissima richiesta. La situazione, dunque, non sembra esser cambiata dal 2019, anno dell’ultimo grande disastro che causò decine di vittime. In quell’occasione, il ministro delle Risorse U Dar Shi La Sai commentò gettando la maschera: non ci sono adeguate misure di sicurezza per i lavoratori, questo è vero, ma la negligenza del Governo è dovuta a “motivi umanitari”. Il ministro spiegava: “Se chiudiamo le compagnie, i dipendenti resteranno senza lavoro“. Così, oggi, la tragedia si ripete, con un bilancio di almeno 113 lavoratori morti.

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