Piacenza, anche i superiori ebbero delle responsabilità

A riesame i fascicoli di tre anni di indagini del ‘gruppo Montella’, dai quali sta emergendo sempre lo stesso copione: arresti su arresti, pestaggi, torture.

Caserma Piacenza, i superiori sapevano

Si stanno riesaminando tre anni di fascicoli, da questi sta emergendo un copione sempre molto simile. Lo spacciatore beccato a vendere stupefacenti proprio davanti agli occhi dei carabinieri della caserma Levante, che si trovavano, curiosamente, nel posto giusto al momento giusto. Nel pieno della flagranza di un reato. Costretti naturalmente a procedere con l’arresto e al processo per direttissima. Da copione era però anche previsto un ulteriore particolare: la reazione violenta del fermato, straniero la maggior parte delle volte, che resisteva all’arresto a suon di calci. Negli ultimi tre anni questi fatti sono avvenuti a volte con cadenza settimanale rendendo i carabinieri del gruppo di Montella, i più fortunati ed al tempo stesso i più aggrediti della storia dell’Arma.

I magistrati della procura di Piacenza stanno rileggendo tutti i fascicoli giudiziari relativi a quegli episodi per analizzare tutte le catture e comprendere quante siano effettivamente frutto del ‘metodo Montella’. Un sistema che aveva come strumento la tortura, il pestaggio, il ricatto e il traffico di droga. Nei prossimi giorni potrebbero verificarsi altre due conseguenze: l’iscrizione sul registro degli indagati di altri carabinieri e la contestazione dell’associazione a delinquere.

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La frenesia degli arresti

Il punto di inizio si può facilmente collocare nel tempo. Andando a scorrere le cronache dei quotidiani locali “la Libertà” e “il Piacenza” si può rintracciare la svolta tra il 2016 ed il 2017. Tra le pagine dei giornali, da lì in avanti, la pubblicazione di arresti e operazioni dei militari della Levante è continua, con una frenesia che non può certo passare inosservata. Il 7 aprile 2017 “il Piacenza” ha scritto: “Spaccio ai giardini Margherita, i carabinieri della Levante arrestano 8 persone in 51 giorni. Quasi uno a settimana dal 14 febbraio al 6 aprile”.

Le operazioni fotocopia sono ininterrotte. “Vende dosi di marijuana ma non si accorge dei carabinieri, arrestato” (20 luglio 2017), “Bloccato mentre spaccia ai giardini, picchia un carabiniere: profugo in manette”, (15 settembre 2017), “Vede i carabinieri, scappa e poi li aggredisce: addosso quaranta dosi di marijuana” (30 gennaio 2018). “Spaccia davanti ai carabinieri e li aggredisce: arrestato ex richiedente asilo” (6 febbraio 2018).

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Negli scatti che vengono fatti circolare dopo ogni arresto, in posa ci sono sempre loro, tutti gli indagati: l’appuntato Giuseppe Montella, l’appuntato scelto Giacomo Falanga, il maresciallo Marco Orlando comandante della stazione, il maggiore Stefano Bezzeccheri della Compagnia Piacenza, da cui la Levante dipende in via gerarchica.

Il dubbio c’era

Il dubbio era sorto nell’allora comandante provinciale, colonnello Stefano Piras. Venne fatto notare a Bezzeccheri, in presenza di altri colleghi, che gli arresti erano molti. La priorità di una stazione come quella con 9 carabinieri, doveva essere il controllo del territorio, svolto da carabinieri in divisa, e non invece indagini effettuate da uomini borghese. Non è un dettaglio di poco conto perché attiene ai ruoli e alle responsabilità di un presidio cittadino con le insegne dello Stato. “Un appuntato, senza la supervisione di un superiore, non può effettuare indagini anche banali come possono essere quelle sullo spaccio”, ha spiegato a Repubblica un investigatore. Quella l’anomalia della Levante. Ed era una cosa nota sia a Montella che ai suoi superiori.

L’appunto che fece Piras, tra il 2018 e il 2019 non ebbe conseguenze ma mise in allarme il gruppo di Montella che ridusse le operazioni. L’obiettivo però era già stato raggiunto, nel 2018 infatti la caserma ricevette l’encomio solenne del Comando della Legione Emilia Romagna: “Alla Levante per i risultati conseguiti soprattutto nell’attività di contrasto allo spaccio”. Encomio che l’appuntato Montella teneva appeso dietro alla sua scrivania, accanto a quello, personale, ricevuto nel 2012 “per aver salvato una persona colta da un malore”.

Il ritorno di Montella

Il 3 marzo di quest’anno, in una riunione di routine, il maggiore Bezzeccheri venne convocato dal nuovo comandante provinciale, Stefano Savo. Quest’ultimo espose un problema di carenza di arresti a Piacenza. Bezzeccheri uscì dall’ufficio e contattò subito Montella: “Vediamo di farne il più possibile (di arresti ndr), anche settimana prossima, almeno tre-quattro”, gli disse. Montella lo prese in parola. È il 5 marzo 2020, l’Italia sta per entrare nel primo lockdown della sua storia. Nelle settimane successive quelli della Levante, secondo gli inquirenti, arrestano e torturano Ugochokwo Anyak, Peterson Shestani, Mohamed Elsayed, Quichimbo Zhigue.

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