Verona, quel batterio nel rubinetto dell’ospedale che ha ucciso 4 neonati

Secondo una relazione della commissione regionale, il Citrobacter rinvenuto nell’ospedale di Verona verrebbe da fuori e sarebbe legato a una scarsa igiene. 

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E’ il Citrobacter il batterio estremamente aggressivo che ha fatto tremare le mamme di Verona, e addolorare quelle che hanno già perso i loro piccoli. Si trovava nel rubinetto del lavandino usato dal personale della Terapia intensiva neonatale per rifornirsi di acqua da somministrare ai neonati insieme al latte. Il batterio nel giro di due anni ha già ucciso quattro neonati, tutti ricoverati nel reparto interno dell’Ospedale della Donna e del Bambino, a Borgo di Trento (quartiere di Verona). Ma i piccoli colpiti sono molti di più: circa 96 in tutto. In nove sono rimasti celebrolesi. A confermarlo sarebbe una relazione, riportata dal Corriere, del professore Vincenzo Baldo, ordinario di Igiene e Sanità pubblica all’Università di Padova. Il professore, infatti, il 17 giugno sarebbe stato incaricato di coordinare una commissione di verifica per far luce sulla vicenda. A volerla, il direttore generale della Sanità del Veneto, Domenico Mantoan. Dalle indagini sarebbe poi emerso un dato schiacciante: il Citrobacter aveva colonizzato il lavandino del reparto, insieme a molti altri batteri.


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(Foto di Raul Sifuentes, da Getty Images)

Come è stato possibile? Probabilmente il batterio è arrivato dall’esterno, una penetrazione all’interno del reparto che potrebbe esser legata a negligenze nei confronti delle misure d’igiene, tra cui il lavaggio delle mani, il cambio di guanti, l’uso di sovrascarpe, mascherine e altri dispositivi di protezione. Dopo aver rilevato la presenza del batterio e aver individuato possibili ipotesi, si procederebbe ora a individuare eventuali responsabilità. Per questo i documenti, legati a cartelle, protocolli e molto altro, passeranno in mano alla Procura, che si appoggia ai Nas, per stabilire i contorni della vicenda.


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Stando a quanto riportato dal Corriere, i primi controlli sarebbero partiti già a gennaio, ma poi sarebbero stati interrotti a causa dell’emergenza Covid. Poi, il 12 giugno, la chiusura del punto nascite, della Terapia intensiva neonatale e la Terapia intensiva pediatrica da parte del direttore generale Francesco Cobello. Successivamente, la nomina della commissione di esterni, incaricata di effettuare verbali e sopralluoghi. Durante l’estate è stato dunque possibile procedere a una bonifica completa degli ambienti, tra cui i filtri dell’aria gli impianti di condizionamento e sanificazione. All’interno di questa maxi operazione ha avuto anche luogo l’iperclorazione della rete idrica, ovvero l’immissione di cloro nell’impianto. Questo ha permesso di rilevare e monitorare la carica batterica. E verrebbe da dire, finalmente. A sottolineare la risposta tardiva da parte dei controlli è la madre di Nina, una dei neonati morti a causa del batterio: “La sanificazione andava fatta due estati fa, quando erano già emersi i primi casi di Citrobacter. Se non si fosse aspettato tanto, adesso la mia bimba e gli altri tre piccoli sarebbero ancora vivi”. Ora è finalmente possibile procedere con le riaperture. Si parte con il punto nascite per i parti non a rischio. Poi a inizio ottobre, a seguire, tutti gli altri.

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