Processo Vannini: la testimonianza di Viola sull’omicidio di Marco

È mercoledì carico di sole a Roma. A Piazzale Chiodo una folla gremita attende l’ingresso in un’aula del Tribunale. Ci sono moltissimi curiosi, uno striscione attende l’arrivo di Marina Conte e Valerio Vannini: sono lì per assistere alla testimonianza di Viola Giorgini, nel processo contro la Famiglia Ciontoli, che la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 gli ha portato via Marco, il loro unico figlio maschio.

I sostenitori della famiglia Vannini davanti al tribunale di Piazzale Clodio – meteoweek

Processo Ciontoli: il racconto della morte di Marco Vannini

Alle 9:30 prende avvio il procedimento: presenti uno degli imputati Antonio Ciontoli sorretto da una stampella e la fidanzata del figlio Federico, Viola Giorgini. Al microfono la voce è incerta, Viola sa che oggi si siede in veste di “teste assistita”: può rifiutarsi di rispondere se la dichiarazione potesse causarle un’incriminazione. Deve ricostruire cosa accadde quella tragica notte e inizia così, interrotta solo dalle domande incalzanti degli avvocati: “Siamo usciti io e Federico e avvicinati al bagno, vicino a corridoio ed è arrivata Maria. Era successo qualcosa. Abbiamo provato ad aprire ma siamo stati respinti perché Marco era nudo”.

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Valerio Vannini e Marina Conte, genitori di Marco – meteoweek

La testimonianza di Viola Giorgini

Il racconto attraversa tutte le fasi del dramma, collocandone i personaggi al centro della scena: “Martina me la ricordo lì e ho sentito la sua voce nel bagno. Si insisteva per entrare e Antonio disse che era solo un grande spavento ma non ho visto bene. Marco era seduto vicino alla vasca, appoggiato con la schiena. Volevamo una spiegazione, Antonio diceva che era un colpo d’aria, per me era una spiegazione completa, mi fidavo di lui, lo conoscevo e io sono ignorante in fatto d’armi”. Non è chiaro come uno spavento potesse creare quel trambusto: “Antonio aveva un atteggiamento sicuro, di chi sapeva cosa stesse facendo. Mi sono accorta che poteva essere una ferita al piano di sopra, era un marchio, un timbro, non me ne ero neanche accorta. Uscì accompagnato, coperto solo nelle parti intime, non so se fosse bagnato. C’era chi sollevava le gambe di Marco, Martina ci parlava rassicurandolo, io presi acqua e zucchero”.

Le urla di Marco

Dalla chiamata al 118 è chiaro che Marco stesse soffrendo, in sottofondo drammaticamente chiare le urla: “Prima della seconda telefonata ricordo lamenti e urla di Marco, non ho mai riscontrato un discorso logico. Marco era infastidito, sembrava iracondo. Federico telefona perché la situazione non migliora e preme sul padre”. Continua Viola: “Federico è tornato in camera e ha detto basta, bisogna chiamare. Io il bossolo non lo vidi. Volevo solo che Antonio si convincesse a chiamare. Viola esplode in un pianto nervoso: “Lui è uscito per telefonare, quindi non abbiamo avuto percezione di cosa avesse detto. poi ci ha detto di accompagnare Marco di sotto perché era in arrivo l’ambulanza: vorrei essere più precisa per ricordare quando venne vestito, ma non me lo ricordo.” La ricostruzione della notte è alternata da una serie di amnesie. La verità, tutta la verità, i dettagli, il dolore, il panico, Marco li porterà via con sé.

Marco Vannini, scomparso la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 – meteoweek

La corsa al Pit di Ladispoli

I soccorsi arrivano ma non vengono avvisati tempestivamente delle condizioni di Marco. Anche Marina e Valerio vengono chiamati: tutti corrono al Pit ma nessuno sa cosa sia successo davvero. A raccontarlo è la stessa Viola: “Al Pit la Pezzillo dice a Marina dice che Marco era caduto dalle scale sbattendo la testa alla Dopo capii perché gli vennero date due versioni, con Antonio che parlava della perdita del lavoro. Lì per lì pensavo che volessero rassicurarla. Oggi riflettendo capisco meglio il perché di quella versione. Assodato e certo che nessuno volesse far male a nessuno.”

La famiglia Ciontoli alla caserma dei Carabinieri

Alla caserma dei Carabinieri è chiaro che qualcosa è andato storto, che Marco non ce l’ha fatta: “Eravamo delusi ma convinti che con il proiettile nel braccio di Marco eravamo più sereni perché convinti che si sarebbe risolta. Poco dopo esce Antonio con un signore che oggi so essere Izzo in borghese. Antonio si appoggiò al muro e disse di aver rovinato tutto, Federico lo rassicura e lui risponde che Marco è morto.” Da Ladispoli ci si sposta a Civitavecchia con le intercettazioni che ormai tutti conosciamo: “Ti ho parato il c**o anche a te” sussurra Viola. Lei spiega: “A Ladispoli il clima era tranquillo, l’interrogatorio fu sereno diversamente da Civitavecchia. No capivamo perché ci fosse pressione, quando gli chiesero lo stub si spaventò e io pure. Andò via tutto il giorno. A Civitavecchia ero sotto shock, accompagnata dai militari. Il tono era dubitativo e volevo che smettesse. Federico chiede cosa avessi detto e gli risposi che lui era stato con me e che avevo visto t’ho parato è un linguaggio che non mi appartiene ma ero infastidita e indispettita e divenni arrogante, quel parato era da intendersi difeso perché non avevo omesso nulla”.

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