Open Arms, migranti si buttano in mare in segno di protesta

La nave da cui si sono lanciati i migranti era giunta ieri sera davanti Palermo: 278 migranti a bordo, soccorsi nei giorni scorsi nel canale di Sicilia, in attesa di direttive sullo sbarco. Poi il tuffo in acqua da parte di 76 persone e l’attivazione delle motovedette della Capitaneria di Porto che hanno ricondotto i migranti a bordo della Open Arms.

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(Foto di Alessandro Fucarini, da Getty Images)

Un tuffo in mare aperto come segno di protesta: sono 76 i migranti a bordo della Open Arms a largo di Palermo che si sarebbero lanciati in mare per raggiungere la costa a nuoto. La nave sarebbe arrivata ieri sera, con a bordo 278 migranti soccorsi nei giorni scorsi nel canale di Sicilia, tra cui diversi minori. La nave era ancora in attesa di indicazioni sulla sbarco, o di un eventuale trasbordo su una “nave quarantena”, “dovendo allo stesso tempo gestire situazioni critiche a bordo”. A quel punto il tuffo in mare e l’attivazione delle operazioni delle motovedette della Capitaneria di Porto e un elicottero della Guardia di Finanza, che si sono occupati di recuperare i migranti in mare e ricondurli sulla Ong spagnola. Ora si resta in attesa dello sblocco di uno stallo che va avanti da tempo: la Open Arms, infatti, si sarebbe diretta verso Palermo dopo un no da parte di Malta, che non avrebbe acconsentito al concedere un riparo dal temporale.


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A commentare il tutto, Riccardo Gatti, capomissione e direttore di Open Arms Italia, come riportato dal Manifesto: “Il salvataggio è avvenuto nella zona Sar maltese, ma La Valletta ci ha negato un porto, ha rifiutato le evacuazioni mediche chieste con urgenza dai dottori, ci ha impedito di ripararci sotto costa dall’arrivo del maltempo. Ormai un paese europeo può permettersi tutto questo. L’Italia ha un atteggiamento più collaborativo ma siamo comunque in mare da dieci giorni. È desolante”. E a proposito dell’iniziativa dei migranti di gettarsi dalla nave: “La cosa peggiore è che ormai queste cose sono diventate normali. Il sistema del soccorso in mare è stato distrutto: quello che dovrebbe valere per tutte le persone al mondo, cioè essere accompagnate nel porto sicuro più vicino dopo il salvataggio, non è più garantito a chi viene etichettato come migrante”. Intanto Open Arms e Emergency hanno diffuso un comunicato congiunto: c’è necessità che vengano “messi a punto protocolli di ricerca e soccorso strutturali e che le autorità competenti proteggano e difendano l’integrità fisica e psichica dei naufraghi e garantiscano loro l’approdo in un porto sicuro come previsto dalle convenzioni internazionali, dal diritto del mare e dalle nostre costituzioni democratiche”.

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