Emergenza Covid, il rapporto tra carica virale e il grado di contagiosità

Emergenza Coronavirus, un po’ di chiarezza sul rapporto tra carica virale e il grado di contagiosità di una persona affetta da Covid-19. L’importanza del valore CT per misurare la carica virale.

Carica virale Covid
foto di repertorio – la carica virale del Covid

Fanno paura i numeri macinati dal Covid-19 nel nostro Paese. Continua a salire, aiutata dalla stagione autunnale, la carica virale del virus, ossia il numero delle copie di materiale genetico presenti in un millilitro di materiale biologico prelevato attraverso il tampone. E proprio la contagiosità di una persona spiegano gli scienziati, è direttamente proporzionale alla carica virale: invero, più alta è la carica virale misurata in un tampone, più il soggetto è in grado di diffondere il virus.

Il rapporto tra carica virale e il grado di contagiosità

Come spiegato al Corriere da Paolo Bonanni, epidemiologo e professore ordinario di Igiene all’Università di Firenze, questo rapporto tra contagiosità e carica virale “vale per tutti i virus: più uno produce virus, più è contagioso“. Tuttavia, “non dobbiamo dimenticarci che anche con carica virale bassa, se chi sta di fronte è una persona fragile, è a rischio di ammalarsi gravemente”, rammenta Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani e della Federazione Italiana Società Scientifiche di Laboratorio.

In tal senso, non sempre c’è correlazione tra carica virale alta e maggiore contagiosità. “Non è detto, non c’è una corrispondenza diretta. Ci sono persone con carica virale elevata che hanno gran tolleranza del virus”, illustra infatti Bonanni. Mentre Clerici aggiunge che “i superdiffusori sono i ragazzi o le persone che hanno alta carica virale, ma sono asintomatici. Sicuramente nel paziente fragile la carica virale alta può avere come esito complicanze gravi”.

In estate carica virale più bassa

emergenza covid - parisi misure forti
foto di repertorio

Dato di fatto, però, è che nei mesi estivi si è assistito a una frequenza di positività al virus più bassa – almeno per quanto riguarda i risultati ottenuti attraverso la somministrazione di test e tamponi. Sulla faccenda ha offerto qualche delucidazione Bonanni, che ha parlato di un quadro comunque difficile da individuare. Sottolineando anzitutto come le temperature non influiscano direttamente sul virus, in autunno “sicuramente il virus circola di più, ed essendoci più infetti è una questione statistica: ce ne sono di più con maggiore carica virale”.

Inoltre, “non è vero che ci fossero solo le cariche basse [in estate ndr]. Da aprile a oggi la carica virale si è mantenuta quasi identica, è una questione di numeri e diffusione. Non abbiamo però un riscontro della carica virale media, perché queste analisi non vengono fatte, se non a livello di singoli studi. L’errore è stato introdurre il concetto di ‘debolmente positivo’, sono persone che probabilmente non hanno nemmeno più il virus in corpo, ma solo tracce di Rna”.


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Il valore CT per misurare la carica virale

Per misurare la carica virale di una persona infetta, in laboratorio si sfrutta il valore CT, ovvero del Cycle threshold (“ciclo-soglia”). Spiegato brevemente, il tampone per il Covid-19 misura la positività di una persona attraverso la procedura detta “reazione a catena della polimerasi (PCR)”, che si basa su più cicli di amplificazione, necessari a produrre una quantità rilevabile di RNA virale. In questo frangente, allora, il valore CT è proprio quel numero di cicli necessari ad individuare il virus, e a dichiarare di conseguenza il soggetto positivo. Se non viene rilevata positività entro 37-40 cicli, il test si conferma come negativo.


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Il valore CT, spiegano gli esperti, non si tratta comunque di una scala assoluta. C’è molto ottimismo, tuttavia, nel credere che conoscere e analizzare tale valore permetta di individuare una “contagiosità potenziale“, così come di identificare coloro che possono essere più o meno a rischio di diffusisione del virus.

Sono diversi gli studi che, a partire dallo scoppio della pandemia, di sono susseguiti in merito al valore CT. Alcuni lavori, spiega il Corriere, hanno mostrato che nei primi giorni di infezione i pazienti hanno valori CT inferiori a 30 (spesso anche inferiori a 20), e registrano così un alto livello di materiale genetico del virus (e di relativa contagiosità). Sulla via della guarigione, invece, dopo che il corpo elimina il virus, i valori CT aumentano, e diminuisce di conseguenza la carica virale. Altri studi sulla stessa linea, inoltre, hanno dimostrato che una carica virale elevata può avere un forte impatto sulla contagiosità potenziale di una persona affetta da Covid-19.

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