Ospedali in tilt, Sileri: “Accade ogni anno per l’influenza” [VIDEO]

Il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, risponde alle domande sulla situazione degli ospedali italiani durante la seconda ondata.

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Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute, ospite a Piazzapulita, su La7. Credit: La7 Video
Una situazione che si ripete ogni anno per l’influenza stagionale. A questo ha ridotto Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute, le difficoltà che stanno vivendo gli ospedali italiani durante la seconda ondata di coronavirus. Dichiarazioni che potrebbero contribuire a dare adito a tutte quelle persone che minimizzano la portata dell’emergenza sanitaria. “Quello che noi viviamo oggi è un qualcosa che esiste per l’influenza ogni anno”, ha dichiarato il viceministro, ospite della trasmissione Piazzapulita, su La7.

Il “problema strutturale” della Sanità italiana

E ha ricordato: “Nel mese di gennaio del 2018 il Covid non c’era, ma tutti i giornali nel 2018 mettevano le foto dei pronto soccorso e degli ospedali pieni perché vi era il picco influenzale. Idem nel 2019″. Secondo Sileri le difficoltà della Sanità in Italia non sono strettamente legate alla diffusione del coronavirus, ma rispecchiano un “problema strutturale”. L’unica differenza rispetto agli altri anni, ha aggiunto, sarebbe che – visto lo stato di emergenza che perdura dal 31 gennaio 2020 – il governo si sta impegnando per fornire “risorse alle Regioni”.

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Cosa può fare il governo

Come ha infatti ricordato il conduttore, Corrado Formigli, la Sanità è in mano alle Regioni. Quindi cosa può fare il governo di fronte agli impegni disattesi da parte delle amministrazioni locali? “Sicuramente vigilare”, ha risposto Sileri. “Ma – ha continuato – in tempo di guerra oltre che vigilare bisogna stimolare. E lo stimolo dell’esecutivo parte proprio dai Dpcm emanati dallo scorso marzo, con cui si chiedeva ai territori di preparare un piano anti Covid.

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I piani anti Covid delle Regioni

“Allora noi nel decreto legge numero 18, che era quello di marzo, avevamo già indicato la necessità che fossero fatti dei piani, rinforzato poi con il decreto 34 che è stato pubblicato in Gazzetta il 19 maggio. Quindi alle Regioni è stato chiesto quello che era il piano di reazione per il Covid. Poi le Regioni hanno iniziato a provvedere e a preparare questi piani. Alcuni sono arrivati prima, alcuni sono arrivati dopo, alcuni sono arrivati molto dopo, a fine settembre”, ha spiegato il viceministro.

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Lo studio della trasmissione Piazzapulita, su La7, con ospite Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute. Credit: La7 Video

La situazione della Sardegna

Poi ha fatto riferimento alla situazione della Sanità in Sardegna, una delle Regioni prese ad esempio nel servizio mandato in onda. “In merito ai posti della Sardegna – ha raccontato Sileri – loro erano partiti con 131 posti prima del Covid e li hanno incrementati ad oggi di 44. Quindi un incremento non sostanziale, ma insomma un incremento vi è stato di 44 posti letto, quindi ora hanno 175 posti di terapia intensiva. Ripeto, erano partiti con 131″. 

“In sei mesi non si può riorganizzare un problema strutturale”

Infine Formigli ha riportato l’attenzione su quanto dichiarato dal viceministro, cioè che l’emergenza Covid non sarebbe differente dal picco dell’influenza stagionale che si verifica ogni anno. “Quello che abbiamo visto negli ospedali non è rassicurante”, ha detto a Sileri. Il quale ci ha tenuto a specificare: “Attenzione, io non è che voglio difendere, tutt’altro. Io adesso per senso dello Stato cerco di portare avanti la barca insieme a tutti quanti e cercare di salvare quello che dev’essere salvato. Ma sono dei problemi strutturali locali che erano pre esistenti e che non è che in sei mesi riesci a riorganizzare. È anche un problema di programmazione. L’organizzazione degli ospedali non è stata cambiata in questi sei mesi.

Il governo avrebbe potuto fare di più?

Ma allora, viene da chiedersi, a cosa serve lo stato di emergenza? È vero che la Sanità italiana da dieci anni a questa parte ha subìto tagli per oltre 30 miliardi di Euro, ma nel giro di sei mesi probabilmente si sarebbe potuto fare molto di più per contenere la seconda ondata di coronavirus e dunque vivere più serenamente i mesi autunnali e invernali.

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