Case in affitto e pandemia: cosa succede tra proprietario ed affittuario?

La pandemia, i lockdown e tutte le conseguenze economiche e sociali che si sono innescate stanno cambiando radicalmente alcune necessità basilari degli italiani.

Cambia tutto, in pochissimo tempo: è qualcosa che nessuno si poteva aspettare, ma che è accaduto. La colpa è – ovviamente – della pandemia, e delle strategie che la scienza ed i governi hanno scelto per contenerla: distanziamento sociale, lockdown, smart working. Anche soltanto il fatto di andare in giro mascherati ormai ci è abituale: ma sarebbe illegale per legge. In questo scenario di enormi cambiamenti sociali avvenuti in pochissimo tempo anche i raporti economici si modificano. Compresi quelli tra padrone di casa ed affittuario. Sono diverse e complesse le “nuove esigenze” a confronto: da un lato gli inquilini alle prese con quarantene, nuovi lockdown, smart working ma anche disagi economici e pagamenti da rispettare. Dall’altro i proprietari degli immobili, esposti a una serie di rischi: ritardi o inadempimenti contrattuali che possono rivelarsi economicamente pesanti. E’ forse quello economico, per ovvi motivi, il “capitolo” più spigoloso da affrontare. Ad esempio, se l’affittuario ha perso il lavoro, è possibile pagare di meno l’affitto al padrone di casa?

Rimodulazione del canone di affitto

Per le locazioni a uso abitativo non esiste alcun diritto alla rimodulazione del canone di affitto,  (che invece è stato reso possibile per gli affitti commerciali con una ordinanza del Tribunale di Roma, la 29683/2020. In linea di massima, quindi, anche in situazioni di difficoltà economica l’inquilino è tenuto a pagare il canone nella misura pattuita. Certo si possono richiamare in linea generale criteri connessi agli obblighi di correttezza e buona fede nell’interpretazione e nell’esecuzione del contratto, che sono previsti dalla legge (articoli 1175 e 1375 del Codice civile): ma a quel punto la valutazione passa ad un giudice, È invece possibile la rinegoziazione volontaria dei canoni: il proprietario può decidere di accogliere una richiesta dell’inquilino ed abbassare il canone di affitto. Il che non comporta la cancellazione del “vecchio” contratto, ma solo la sua revisione, mantenendo il rapporto negoziale (articolo 1372 del Codice). Nel caso, è meglio registrare il nuovo accordo alle Entrate, per avere garanzia di una data certa e perché lo sconto può ridurre la base imponibile.

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Le difficoltà economiche non giustificano una interruzione dei pagamenti

Gli eventuali problemi economici dell’inquilino non legittimano neanche un’interruzione dei pagamenti. Si tratta di un principio che rimane valido anche nell’attuale situazione di emergenza: le difficoltà economiche non giustificano un ritardo o addirittura un mancato pagamento dell’affitto. Se però la morosità si riferisce ai soli mesi del lockdown, lo sfratto non può essere convalidato. In ogni caso l’esecuzione degli sfratti per morosità – come quelli per finita locazione – è stata sospesa fino al 31 dicembre 2020, con l’articolo 17-bis del decreto Rilancio 34/20, che è stato convertito nella legge 7/20 che a sua volta ha prorogato la misura già prevista dal Dl “cura Italia” 18/20. E dunque, se è vero che nei confronti dell’inquilino moroso sono applicabili le norme previste dal Codice Civile in tema di inadempimento e risarcimento del danno, è altrettanto vero che l’eventuale recupero per via giudiziaria dei canoni non pagati dal conduttore non “sfrattabile” si rivela costoso e non certo per il proprietario.

La pandemia non è motivo di recesso anticipato dal contratto

Nelle locazioni abitative libere o concordate l’inquilino può recedere dal contratto in qualsiasi momento, per gravi motivi, comunicandolo al locatore con lettera raccomandata e preavviso di sei mesi. Oppure prima se le due parti, nella loro autonomia contrattuale, abbiano stabilito un recesso svincolato dai gravi motivi e con un termine di preavviso minore. La legge indica vari criteri per identificare questi “gravi motivi”,  tra i quali però non rientra – ad oggi – la perdita di interesse a causa della mutata situazione lavorativa o di studio determinata dalla pandemia da Covid-19. Se l’inquilino abbandona in anticipo l’abitazione, è quindi tenuto a pagare quanto pattuito ed eventualmente a risarcire i danni provocati al locatore. Rimane però sempre aperta la possibilità di negoziare una risoluzione consensuale.

Autoisolamento a fine contratto

La pandemia di coronavirus ha creato delle situazioni assolutamente inedite in cui l’inquilino non possa (o non voglia) abbandonare l’abitazione dopo la fine del contratto. Ad esempio chi decide di isolarsi perché teme di aver avuto contatto con un positivo al virus, o chi ha sintomi compatibili al Covid-19, oppure chi non può tornare nella propria residenza abituale per paura di infettare genitori anziani, oppure chi non vuole tornare nella Regione di residenza considerandola a rischio maggiore. Un comportamento prudente e che è condivisibile dal punto di vista etico, ma che configura un inadempimento contrattuale. L’affittuario deve quindi continuare a pagare il canone di affitto.

L’inquilino è obbligato alla quarantena

Diverso è ovviamente il caso in cui l’inquilino sia costretto a permanere nell’immobile a causa di un ordine dell’autorità (come l’obbligo di isolamento domiciliare), o comunque per ragioni oggettive e sopravvenute non riconducibili alla sua volontà. Il ritardo o l’inadempimento sarebbero determinati da una causa a lui non imputabile. Secondo la giurisprudenza prevalente, se l’inquilino vuole liberarsi dell’obbligo risarcitorio (articolo 1256 del Codice civile) dev’essere in grado di provare l’assenza di dolo con una idonea documentazione, ad esempio con il provvedimento che applica le misure di quarantena. Posto poi che la responsabilità prescritta dall’articolo 1591 del Codice è di natura contrattuale, «il locatore ha il solo onere di provare il ritardo, ma non il dolo o la colpa del conduttore, al quale, invece, spetta il più gravoso onere di provare la impossibilità della riconsegna per una causa a lui non imputabile» (Cassazione 2306/2000). Per evitare le incertezze del giudizio è comunque possibile negoziare una soluzione conciliativa. Meglio ancora: prevenire il problema con accordi ad hoc. Ai privati è infatti sempre concesso – anche in deroga all’articolo 1218 – stabilire modifiche al regime di responsabilità, purché si tratti di lesione dei diritti disponibili e salva l’esclusione totale di responsabilità per dolo o per colpa grave (articolo 1229).

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