Il problematico rapporto tra Stato e Regioni: cosa ci ha insegnato il Covid

L’emergenza sanitaria provocata dal Covid ha fatto emergere i limiti del rapporto tra il potere dello Stato e l’autonomia delle Regioni.

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Il ministro per gli Affari Regionali, Francesco Boccia, in videoconferenza con le Regioni. Credit: Francesco Boccia Facebook

Se c’è un cosa che il Covid-19 ha insegnato agli italiani, è che il rapporto tra Stato e Regioni fa acqua da tutte le parti. Le dimostrazioni sono arrivate sin dai primi giorni dell’emergenza sanitaria, quando la Lombardia – sede dei primi focolai di coronavirus – non voleva chiudere i propri confini e dunque fermare fabbriche e industrie. Per aggirare il problema il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, prese la decisione di decretare il lockdown per tutto il Paese penalizzando i territori in cui il virus era inesistente, o almeno tenuto sotto controllo.

Gli scontri tra Stato e Regioni nei mesi dell’emergenza

Dagli inizi di marzo, poi, è stato un continuo dibattito tra Stato e Regioni: prima le critiche al governo da parte dei governatori locali sulla gestione della pandemia, poi lo svelamento del flop della Sanità regionale e quello dell’app Immuni – per cui le diverse istituzioni non sono riuscite a comunicare in modo efficiente – e ancora il rimpallo di responsabilità all’inizio della seconda ondata. Dieci mesi di scontri che non hanno fatto altro che allungare il processo decisionale in un momento di emergenza e confondere i cittadini su quale fosse la situazione reale nel Paese.

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Perché nascono gli scontri tra Stato e Regioni?

Lo scontro decisionale tra Stato e Regioni dipende dalla volontà di alcuni territori di detenere più competenze di quelle che hanno al momento. Su questo l’Italia si divide: c’è chi vorrebbe l’istituzione delle autonomie regionali differenziate e chi invece preferirebbe conferire maggiori poteri allo Stato centrale. Il tema era stato affrontato nel 2019 dal governo gialloverde. L’allora ministro degli Interni Matteo Salvini era apparso fortemente intenzionato ad approvare l’autonomia regionale, salvo poi innescare la crisi di governo e causare il blocco di tutti i procedimenti. Al momento le decisioni vengono prese durante la Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, presieduta dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia, con la presenza dei presidenti di tutte le regioni italiane e le province autonome.

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La sezione dedicata alla Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano. Credit: statoregioni.it

La nuova sfida di Stato e Regioni

Dopo quasi un anno di battaglie istituzionali e mediatiche, c’è una nuova sfida che Stato e Regioni dovranno affrontare. E sembra essere quella decisiva: la somministrazione dei vaccini. Per seguire un piano vaccinale efficiente ed efficace, le istituzioni centrali e locali dovranno comunicare il più rapidamente possibile. Cosa che finora hanno dimostrato di non saper fare.

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Il problematico rapporto tra Stato e Regioni: cosa ci ha insegnato il Covid – www.meteoweek.com – Credit: Pixabay

Ma perché sarà importante il coordinamento tra Stato e Regioni per la somministrazione del farmaco? Stando a quanto spiegato dall’immunologo statunitense Anthony Fauci, per raggiungere l’immunità di gregge sarebbe necessario vaccinare tra il 75 e il 95 per cento della popolazione sopra i 15 anni, se prendesse piede la variante inglese. A parte il fatto che in Italia, come riporta La Repubblica, non sarebbe possibile per questione di numeri (per somministrare due dosi al 75 per cento della popolazione sopra i 15 anni entro un anno bisognerebbe somministrare 1,5 milioni di dosi la settimana, ma Arcuri ne prevede 450 mila).

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Ma soprattutto i problemi sono che mancano i vaccinatori, perché il 28 dicembre è scaduto un bando per la selezione di cinque agenzie del lavoro: il reclutamento non è ancora iniziato. Che gli amministratori locali dovranno conservare il farmaco a temperature di -70 gradi centigradi, per cui ci vogliono strumenti specifici. Che le Regioni dovranno mettersi in contatto con circa 39 milioni di persone, il numero corrispondente al 75 per cento della popolazione sopra i 15 anni in Italia. Ed è impensabile che tutte le Regioni del Paese siano in grado di fare tutto questo da sole.

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