Assalto a Capitol Hill. Ed ora Trump rischia la rimozione

L’assalto a Capitol Hill mette Donald Trump all’angolo, segnando una delle pagine più buie della politica americana.

Sembrava un film e invece era la realtà. Sembravano uomini usciti da qualche cortometraggio e invece erano proprio lì, a Capitol Hill, dove nelle ultime ore è stata scritta una delle pagine più cupe della politica americana e della democrazia in generale. Tutto è iniziato quando Donald Trump, il presidente uscente, ha annunciato di non voler riconoscere la vittoria di Joe Biden – poi riconosciuta dal Congresso – dando vita a uno sciame di protesta e di rivolta. Nonostante le decine di ricorsi persi, il Repubblicano insiste e la sua versione non cambia: l’esito di questa tornata elettorale non sarebbe nient’altro che l’esito di una frode elettorale. 

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I fatti di questa notte, ora italiana, mettono Donald nell’angolo: il Presidente uscente è sempre più isolato e, dopo le rivolte, i funzionari dell’amministrazione Usa hanno iniziato a discutere la possibilità di invocare il 25 emendamento con lo scopo di rimuovere il Presidente dall’incarico. A riportarlo, il The Hill che cita a tal proposito una fonte che sarebbe a conoscenza dei fatti. Donald Trump, infatti, è attualmente ancora Presidente fino al 20 gennaio, quando Joe Biden si insedierà alla Casa Bianca. Ma, i funzionari, vorrebbero non attendere quella data.

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Infatti, riferisce il The Hill, proprio i funzionari avrebbero scambiato tra di loro chiamate e messaggi sulla misura straordinaria proprio per richiedere alla maggioranza del gabinetto e all’attuale vicepresidente Pence di dichiarare al Congresso l’incapacità di Trump di adempiere ai suoi doveri di presidente. E intanto, tra i suoi collaboratori, dimissioni a pioggia: all’interno del Partito Repubblicano ha fatto già passi indietro Stephanie Grisham, capo dello staff e addetta stampa della first lady Melania Trump. La donna si è dimessa proprio a seguito dell’assalto al Campidoglio degli Stati Uniti.

Gli appelli di Trump ai suoi sostenitori

Un universo variegato, quello che ha fatto irruzione ieri al Congresso e tra i quali ci sono anche i Proud Boys. Ne abbiamo sentito parlare quando, durante il dibattito del 29 settembre fra i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Trump ha risposto alla domanda del moderatore circa la sua volontà di impegnarsi a condannare i suprematisti bianchi e le loro milizie all’interno del Paese. Quegli stessi suprematisti più volte richiamati tra Donald Trump a suo sostegno. “Stand back and stand by”, cioè “State indietro e state in allerta” è l’appello lanciato allora dal Repubblicano.

I Proud Boys sono un gruppo di estrema destra statunitense, fondato nel 2016 da Gavin McInnes, composto unicamente da uomini che si definiscono sciovinisti occidentali – rifiutandosi di ammettere le donne. L’organizzazione è nota per i suoi atteggiamenti aggressivi e violenti. I Proud Boys sono inoltre islamofobi e hanno visioni retrograde sul ruolo della donna e il rapporto fra i sessi. Negli ultimi mesi i Proud Boys si sono scontrati con gli attivisti di Black Lives Matter a Seattle, Washington e Portland.

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