Inchiesta mascherine, Arcuri-Benotti: cosa sappiamo e cosa vorremmo sapere

L’inchiesta sulle mascherine acquistate dalla Cina si arricchisce di nuove dichiarazioni, fatte nella serata di ieri da Mario Benotti. Quest’ultimo in un’intervista a Quarta Repubblica avrebbe rivelato di aver avuto contatti piuttosto frequenti con il Commissario all’emergenza Domenico Arcuri, almeno fino agli inizi di maggio, quando Arcuri gli avrebbe chiesto di troncare i rapporti: Palazzo Chigi gli aveva rivelato l’esistenza di un’indagine che li riguardava. Ecco cosa sappiamo e cosa dovremmo pretendere di sapere.

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Il 7 maggio Arcuri e Bonaretti (consigliere del commissario) mi comunicano che palazzo Chigi li aveva informati che i servizi stavano indagando su queste cose e sui voli dalla Cina, quindi era necessario interrompere qualunque contatto“, dice Mario Benotti a Quarta Repubblica, a proposito dell’inchiesta sulle mascherine acquistate dalla Cina. L’inchiesta ha portato all’individuazione di otto indagati (tra cui Benotti) e al sequestro di beni per un totale di 69,5 milioni di euro. Nel mezzo, anche la figura di Domenico Arcuri, il Commissario all’emergenza Covid, attualmente non indagato. L’inchiesta riguarda una certa opacità nell’acquisto delle mascherine provenienti dalla Cina: gli intermediari che fecero da ponte tra i produttori e la struttura commissariale sono accusati a vario titolo di traffico di influenze illecite, riciclaggio, autoriciclaggio e ricettazione. Ma prima di concentrarsi su quanto riportato da Benotti nell’intervento, è necessario ricapitolare cosa è successo esattamente.

Un passo indietro

Il 17 febbraio la Guardia di Finanza ha sequestrato conti correnti bancari, case, una barca, moto, orologi di lusso, per un valore complessivo di 69,5 milioni di euro. A chi sono stati sequestrati questi beni? Agli intermediari che organizzarono l’importazione dalla Cina di 800 milioni di mascherine durante i primissimi mesi dell’emergenza Covid, per un valore di 1,25 miliardi di euro. A ordinare il sequestro e a individuare gli indagati, la procura di Roma, che negli ultimi mesi ha già condotto lunghe indagini a riguardo. Al centro delle indagini: Mario Benotti, giornalista Rai in aspettativa, Andrea Vincenzo Tommasi, imprenditore a capo di una delle società coinvolte nell’indagine, Antonella Appulo, Daniela Guarnieri, Jorge Edisson Solis San Andrea, Daniele Guidi, Georges Fares Khozouzam e Dayanna Andreina Solis Cedeno. Le società coinvolte sono invece: la Sunsky srl, Partecipazioni Spa, Microproducts It Srl e Guernica Srl. Nei mesi scorsi per Domenico Arcuri era stato ipotizzato il reato di corruzione. Tuttavia, alla fine delle indagini i magistrati avevano chiesto l’archiviazione dell’accusa relativa ad Arcuri: “Allo stato non vi è prova che gli atti della struttura commissariale siano stati compiuti dietro elargizione“.

Gli attuali indagati sono accusati di traffico di influenze illecite: Benotti e gli altri secondo l’accusa sarebbero stati pagati in cambio di “un privilegio di accesso, superando il filtro delle pari opportunità, attraverso il corridoio segreto di un rapporto speciale“. A pagare gli intermediari, secondo gli investigatori della Guardia di Finanza, sarebbero stati proprio i fornitori cinesi. Ma quale era questo corridoio speciale per il quale avrebbero pagato? Quello tra Benotti e Arcuri, “necessario passepartout“. Ma Arcuri, lo ripetiamo, non appare tra gli indagati. Tanto che l’ufficio stampa del Commissario avrebbe riferito a proposito dell’inchiesta: “Risulta evidente che la struttura commissariale e il commissario, estranei alle indagini, sono stati oggetto di illecite strumentalizzazioni da parte degli indagati per ottenere compensi non dovuti dalle aziende produttrici“. La struttura commissariale ha “già richiesto ai loro legali di valutare la costituzione di parte civile in giudizio per ottenere il risarcimento del danno”.

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I rapporti tra Arcuri e Benotti

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E’ evidente, allora, che al centro della vicenda non può che esserci il presunto rapporto tra Mario Benotti e Domenico Arcuri. Benotti, già consulente della presidenza del Consiglio dei ministri e di vari ministeri, riferisce di esser entrato più volte in contatto con Arcuri. Il Commissario all’emergenza invece evidenzia le distanze. Nel decreto di sequestro citato da Repubblica è possibile leggere che i contatti tra intermediari e struttura commissariale furono antecedenti al 10 marzo. Oltretutto, la firma del primo contratto avvenne il 25 marzo. In quella data, però, la struttura commissariale “ancora non esisteva, almeno ufficialmente”. All’interno di questo quadro “si delinea così la nascita di un lucroso patto (occulto) con una pubblica amministrazione; un comitato d’affari, nel quale ognuno dei partecipanti ha messo a servizio del buon esito della complessa trattativa la propria specifica competenza, ricevendone tutti un lauto compenso per l’opera di mediazione compiuta“, scrivono i magistrati. A dimostrare l’esistenza di un rapporto anche abbastanza intenso tra Benotti e Arcuri sono i tabulati telefonici: da gennaio a maggio 2020 furono 1.282 i contatti telefonici (tra chiamate e sms, con o senza risposta). Andò così fino al 7 maggio, poi tra i due tutto tace. Cosa è accaduto?

La versione di Benotti

I due si conoscono da anni, stando a quanto riportato da Benotti (“Arcuri lo conoscevo dai tempi in cui facevo il consigliere al governo“). Tuttavia la relazione si sarebbe interrotta il 7 maggio. Benotti in quel periodo confida a un interlocutore l’impressione che la “latitanza” di Arcuri fosse deliberata, e confessa anche “il timore che ciò potesse ritenersi sintomatico di una notizia riservata su qualcosa che ‘ci sta per arrivare addosso“. Nell’intervista di ieri sera a Quarta Repubblica, Benotti ribadisce di aver incontrato di persona Arcuri il 4 marzo, e di essersi attivato per cercare le mascherine necessarie a gestire l’emergenza. Il 19 marzo alle 16:28 Benotti comunica al Commissario di aver trovato le mascherine (Arcuri si è insediato il 18 marzo). I contatti tra i due proseguono, fino al fatidico 7 maggio, quando Arcuri sparisce. Benotti ha il sospetto che qualcuno abbia avvertito il Commissario: qualcosa si stava muovendo. “Il commissario mi incontrò in una via di Roma. Arcuri si fece precedere da una telefonata del dottor Bonaretti. Mi dice che mi doveva vedere lui. Invece arrivano lui e il commissario. Sotto il mio ufficio, in Prati a Roma. E mi dice che c’era una difficoltà, che a Palazzo Chigi lo avevano informato che c’era un’indagine su tutta questa situazione, forse dei Servizi. Da Palazzo Chigi si possono avere soltanto indagini che vengono dai Servizi. Ma era anche normale che i Servizi indagassero su questa cosa. Mi pregò di interrompere qualunque comunicazione con lui, cosa che io ho fatto”, dice Benotti a Quarta Repubblica. 

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Tutto ciò che sta intorno all’inchiesta

Ora spetterà alla magistratura capire quanto le parole di Benotti corrispondano a verità. Spetterà alla magistratura capire perché la struttura commissariale si sia affidata a questo tipo di intermediari. Nel frattempo i magistrati ribadiscono che “la struttura commissariale non appare interessata a costituire un proprio rapporto con i fornitori cinesi né a validare un autonomo percorso organizzativo per certificazioni e trasporti, preferendo affidarsi a freelance improvvisati, desiderosi di speculare sull’epidemia“. Perché? Si è trattato di negligenza o di intenzionalità? E le accuse rivolte agli otto indagati sono fondate? Per saperlo è necessario attendere. Fatto sta che tre settori escono notevolmente inquinati da tutta la vicenda. Il primo è la gestione dell’emergenza, ovviamente, che importa 800 milioni di mascherine affidandosi ad intermediari trovati rapidamente e poi abbandonati. L’opacità dell’intera operazione lascerebbe pensare che tutto l’apparato burocratico dietro il quale ci si è nascosti per giustificare ritardi ed errori forse non è l’unico imputato.

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L’altro settore sul quale penderebbe un carico pesante, se le parole di Benotti fossero confermate, è quello dei Servizi Segreti. O Benotti mente, e a quel punto va smentito a gran voce, attraverso la presentazione di apposite prove; oppure realmente Arcuri sarebbe stato informato delle eventuali indagini da Palazzo Chigi. In tutto questo, quale è stato il ruolo di Giuseppe Conte, a lungo intenzionato a tenere per sé la delega ai Servizi Segreti? Su questo punto, sul coinvolgimento o meno dei Servizi Segreti, è necessario un netto chiarimento. Se Benotti dice il falso, va smentito chiaramente, ne va della credibilità dello Stato. Il terzo settore che esce inquinato da tutta questa storia, infine, è il giornalismo. Certamente le inchieste e i processi ancora aperti vanno trattati con i guanti di velluto, certamente le dichiarazioni vanno contestualizzate e prese per quel che sono: dichiarazioni da verificare. Ma è anche vero che affermazioni di questo tipo, fatte da uno dei principali indagati, non possono passare sotto silenzio stampa. Intanto, però, tutto tace, e si torna a parlare della scelta dei sottosegretari, il sequel del lunghissimo totoministri che è tanto più appassionante, e tanto più inutile.

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