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Politica

Coronavirus, come mai le terapie intensive sono di nuovo al collasso

La ripresa della pandemia e il nuovo balzo di contagi Covid ha messo in crisi gli ospedali e le terapie intensive, nonostante i buoni propositi sull’ampliamento dei posti letti. 

Il comitato tecnico scientifico, che guida i fili della gestione dell’emergenza, da tempo insiste su due fattori. Il primo, la necessità di chiudere e di avviare nuove misure restrittive che possano frenare l’andamento del contagio. Il secondo, le terapie intensive soffrono e la pressione sul sistema sanitario nazionale diventa più forte di giorno in giorno. Giovanni Lombardi, sindaco-rianimatore del Cotugno di Napoli, lanciava qualche giorno fa l’allarme: “L’assistenza sanitaria non è più garantita”, diceva in seguito ad un turno di 12 ore di lavoro.  Critica la situazione anche in Piemonte, dove sono state sospese tutte le visite non urgenti e i ricoveri di pazienti non Covid.

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Critica anche la situazione nelle Marche. L’ospedale Torrette di Ancona ha chiesto aiuto agli ospedali della Regione per poter trasferire i pazienti gravi. Secondo il report dell’Istituto superiore di sanità, in 9 regioni il tasso di occupazione ha già raggiunto la soglia critica del 30%. La curva dei i pazienti con i sintomi continua a crescere velocemente e , stando ai dati di ieri domenica 14 marzo, le terapie intensive superano le 3mila unità occupate. Ieri, i nuovi casi di Coronavirus sono stati 21.315, mentre i decessi sono stati 264. 273.966 il numero dei tamponi, con un tasso di positività salito di un punto.

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Sempre nella stessa giornata, sono stati 243 gli ingressi in terapia intensiva , con un saldo giornaliero di 100 pazienti in più. Ad oggi, sono quindi 3.082 i pazienti ricoverati in terapia intensiva, mentre nei reparti ordinari si registra un incremento di 365 pazienti, portando il totale a 24.518. Durante la prima ondata, la mancanza di posti letto ha portato al collasso le terapie intensive, così come abbiamo sofferto la mancanza di medici e infermieri durante questi mesi di pandemia. Ora, la situazione del sistema sanitario sempre tenere meglio. Ma cosa è stato davvero fatto in questi mesi?

Ospedali al collasso, simbolo della pandemia

Gli ospedali al collasso sono stati il simbolo della pandemia. Quando un anno fa si registrò il primo caso di Covid19 a Codogno e la prima vittima a Vò euganeo, i contagi iniziarono rapidamente a diffondersi e il nostro sistema sanitario si mostrò da subito impreparato a reggere la pandemia che, dopo qualche settimana, aveva iniziato a mostrare tutta la sua aggressività. Sono passati 12 mesi , mesi che hanno mostrato l’insufficienza del Sistema Sanitario Nazionale, vittima dei tagli alla sanità che vanno avanti da anni. La debolezza del welfare italiano è causato da anni di sottofinanziamento del Sistema sanitario nazionale e la pandemia ci ha mostrato la necessità di intervenire sulle strutture socio-sanitarie pubbliche. Alla mancanza di posti letto, anche nelle terapie intensive, si è fatto seguito con l’aumento degli stessi. Ma è bastato?

Come ha chiarito Mario Draghi, va subito rafforzata la rete sanitaria territoriale , attraverso un maggiore coordinamento tra Stato e Regioni. La riforma e la riorganizzazione del welfare italiano è fondamentale per tenersi pronti, così come serve un piano pandemico per gestire una pandemia. La debolezza, in sostanza, è strutturale.
Per quanto riguarda le assunzioni di medici e infermieri nel 2021, questi sono già previsti nella Legge di Bilancio. Si mira ad incrementare il personale, anche per la somministrazione dei vaccini. “Bisogna accelerare con la campagna vaccinale“, ha detto Mario Draghi nel suo discorso programmatico al Senato prima e alla Camera poi. Il presidente del Consiglio ha spiegato che non c’è più tempo da perdere: servono più dosi e vaccinazioni più veloci. Sotto accusa il piano di Domenico Arcuri, che tra l’altro è stato rielaborato dicendo addio alle primule, strutture che avrebbero dovuto essere usate come punti di vaccinazione. Strutture che al momento non esistono, troppo costose; e, dal momento che non si può perdere tempo, l’Italia userà le strutture già a disposizione, quindi palestre, caserme e tutto ciò che esiste già. Servono, però, anche medici e infermieri.

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