Covid e carceri: “Il rischio è il sovraffollamento, serve campagna vaccinale” [VIDEO]

La pandemia di Covid colpisce duramente anche e sopratutto nelle carceri: secondo Stefano Anastasia, Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, servirebbe subito una vaccinazione di massa per detenuti ed operatori. Ma non solo.

In carcere si vive in tanti in poco spazio. Si utilizzano bagni e docce in comune. Gran parte di chi è detenuto non è in buone condizioni di salute. Gli ambienti carcerari non sono “impermeabili”, anzi: ci vuole poco a portare il virus dentro, ed è quasi automatico poi che esploda un focolaio. Condizioni che, sulla carta, imporrebbero un intervento immediato delle autorità sanitarie, e non solo: vaccini rapidi e di massa, magari un alleggerimento del numero dei detenuti per limitare il sovraffollamento. Ma questo finora non è avvenuto, complice anche un atteggiamento della politica più rivolto agli umori della popolazione – che “non capirebbe” un intervento prioritario nelle carceri – che alla realtà dei fatti. Ne abbiamo parlato con Stefano Anastasìa, Garante dei diritti dei detenuti del Lazio: l’intervista – che potete guardare integralmente nel video –  è a cura di Valentino De Luca.

Anastasìa, cosa significa avere il Covid o comunque interagire e difendersi dalla pandemia all’interno di una detenzione carceraria?

“All’interno degli istituti di pena riuscire a rispettare le norme di igiene e prevenzione è molto difficile. Non tanto per l’uso dei DPI, ormai distribuiti ovunque, e a disposizione. La difficoltà è legata alle condizioni di sovraffollamento delle strutture, alla loro fatiscenza: fattori che determinano una situazione di igiene molto precaria. Nella maggior parte degli istituti di pena del Lazio, ad esempio, ci sono le docce in comune. La presenza di un solo asintomatico, che però convive con decine di altre persone quotidianamente, rende molto facile l’esplosione di un focolaio.  Si tratta di strutture dove si vive in maniera comunitaria, sovraffollate e con un livello igienico decisamente bass0”.

Eppure l’ipotesi della vaccinazione di massa all’interno delle carceri non sembra essere molto popolare, a livello politico.

“La natura stessa delle carceri rende la diffusione del virus particolarmente facile, anche in maniera aggressiva. Non dobbiamo dimenticare che spesso le persone detenute hanno storie di cura e di assistenza sanitaria molto precarie. Si tratta di persone che hanno vulnerabilità rilevanti. Come le RSA, d’altronde: strutture comunitarie che ospitano persone fragili. Stesso ragionamento va fatto per le carceri. Ed è curioso che questa priorità non sia stata individuata subito. Scelta riferibile, ahinoi, ad una diffidenza nei confronti delle carceri e dei detenuti: si ritiene che l’opinione pubblica possa non comprendere e non essere favorevole ad un intervento di vaccinazione di massa negli istituti di pena. Ma la tutela della salute ovviamente vale per tutti, non può lasciare fuori nessuno, è universale. E nelle condizioni in cui si vive in carcere il vaccino va fatto subito: ai detenuti ed agli operatori. Anche perchè, oltre alla salute, c’è altro: le attività sono quasi tutte interrotte, e molti detenuti non vedono i loro familiari da un anno”.

Quali altre soluzioni, oltre ai vaccini, ci sarebbero per rendere più gestibile la situazione?

“Sono le questioni per le quali ci siamo battuti, senza grande ascolto da parte del governo e anche della magistratura: a partire dalla riduzione delle presenze di detenuti in carcere”.

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