M5S tra cambiamento e passato: i rapporti con Casaleggio e Rousseau e l’ipotesi di rottura

Tra il figlio di Gianroberto e gli eletti del M5S siamo al divorzio. Ma tra le accuse reciproche di poca chiarezza, i dati sugli iscritti e soprattutto sulla questione delle quote da versare a Casaleggio la discussione sta scaturendo in una vera e propria battaglia legale e comunicativa. 

Che il Movimento 5 Stelle e la Piattaforma Rousseau siano arrivati alla fine del loro rapporto appare chiaro. Il divorzio sarà consensuale ma lascerà non pochi strascichi: tra accuse pubbliche, aule di tribunale e ovviamente perdita di consenso elettorale, ci aspettiamo una guerra accesa, quasi spettacolare.

Il nuovo M5S che si vuole porre come “forza moderata, liberale, europeista“, così annunciata un mese fa da Luigi Di Maio, non piace assolutamente a Davide Casaleggio proprietario di Roussau, mentre l’intransigenza delle posizioni isolazioniste e del figlio di Gianroberto, seguito da alcuni esponenti di spicco come Barbara Lezzi e l’ex Alessandro Di Battista, va fuori linea con il nuovo manifesto di Giuseppe Conte che prevede l’alleanza col Pd e una immagine molto democristiana del partito. Per non dimenticare l’addio alla regola dei due mandati e al principio dell'”uno vale uno” che Conte ritiene è una sciocchezza e “un equivoco.

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L’addio a Casaleggio coincide ovviamente con la fine del rapporto tra il Movimento e la Piattaforma Rousseau, accusata più volte di tenere in ostaggio i dati relativi agli attivisti iscritti. Un tesoretto di informazioni indispensabile per il Movimento. Infatti il M5S è un partito che, a differenza degli altri, non ha a disposizione l’elenco dei propri iscritti e delle proprie iscritte, a cui ha accesso il solo Davide. Si tratterebbe di circa 198 mila nomi gestiti e gelosamente custoditi dall’associazione di Casaleggio.

Il punto più problematico però rimane la questione delle presunte inadempienze economiche a cui dovrebbero rispondere i parlamentari. Casaleggio ha chiesto che entro il prossimo 22 aprile vengano versati all’associazione 450 mila euro. Questa cifra include le quote non versate da parte dei parlamentari: solo un terzo degli eletti circa, hanno scritto in questi giorni diversi giornali, è in regola con le restituzioni a Rousseau, fissate attualmente a 300 euro mensili per ciascun deputato.

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Credo che oggi sia arrivato un momento di chiarezza necessaria, chiunque voglia guidare con saggezza il Movimento 5 Stelle deve prendere posizione chiara sul futuro che desidera” ha dichiarato Davide in una intervista al Corriere della Sera. “Se si vogliono ribaltare le regole credo sia opportuno che ci si metta la faccia, non è più tempo di ambiguità“. Parole che suonano come un ultimatum.

Qualche giorno fa però Vito Crimi – reggente del Movimento dalle dimissioni di Luigi Di Maio avvenute nel gennaio del 2020 e in attesa dell’ufficialità di Giuseppe Conte a capo del partito – ha definito “infondate” le richieste di Casaleggio e ha annunciato il blocco dei versamenti delle quote a Rousseau a partire da aprile: “Secondo i nostri legali non ci sono inadempienze da parte del Movimento. Le pretese economiche di Rousseau sono infondate sia nella quantificazione sia nella identificazione del M5S come soggetto obbligato“. Crimi ha dichiarato di voler modificare il meccanismo di rendicontazione e restituzione: “L’obiettivo è consentire al Movimento di diventare un soggetto autonomo», probabilmente anche attraverso la creazione di una nuova piattaforma“. La guerra civile del M5S è appena iniziata.

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