La variante indiana Covid è più trasmissibile: il parere dell’Oms

A riportare il dato è direttamente l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che all’interno dell’ultimo report settimanale aggiorna i dati sulla cosiddetta variante indiana Covid. Ebbene, variante indiana di Sars-CoV-2 (B.1.617) presenta una “aumentata trasmissibilità“. Proseguono gli studi – aggiunge l’Oms – a proposito dell’effetto della variante sulla gravità di Covid e sul rischio di reinfezione. 

variante inglese
MeteoWeek.com (da Getty Images)

L’Oms emette un primo verdetto a tema variante indiana: la variante Sars-CoV-2 (B.1.617) presenta “un’aumentata trasmissibilità“. A riportarlo è la stessa Organizzazione mondiale della sanità all’interno dell’ultimo rapporto settimanale, nel quale dedica un focus a nuove certezze scientifiche emerse a proposito di: caratteristiche trasmissibilità, gravità della malattia, rischio di reinfezione, capacità di diagnosi ed efficacia dei vaccini per le varianti del coronavirus pandemico che destano preoccupazione, le cosiddette Voc (Variants of concern). Stando a quanto riferito dall’Oms, sono ancora in corso le indagini in merito all’effetto della variante indiana sulla gravità di Covid-19 e sul rischio di reinfezione. Per quanto riguarda i vaccini oggi disponibili, l’Oms riferisce: è “probabile” una protezione contro la malattia, pur con “evidenze molto limitate” relative solo a due vaccini (AstraZeneca e Pfizer/BioNTech).

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Altre conferme

Al momento sappiamo solamente una cosa: la variante indiana è più contagiosa di quella inglese, probabilmente a causa di due mutazioni che aiutano il virus ad “agganciare” le cellule dell’ospite. A confermarlo è uno studio internazionale, a cui ha lavorato anche Massimo Ciccozzi, responsabile dell’unità di Statistica medica ed Epidemiologia della facoltà di Medicina e Chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma. Al momento lo studio si trova pubblicato in preprint su BioRxiv, ma si attende il termine della valutazione che dovrà condurlo a una pubblicazione su un’importante rivista. Proprio Ciccozzi riferisce ad Adnkronos: “Le mutazioni della variante indiana – spiega ancora Ciccozzi – stabilizza di più la proteina Spike e rende più semplice ‘l’aggancio’ al recettore Ace2 perché, con questa mutazione, aumenta la carica elettrica positiva. E questo permette di agganciare più recettori rispetto alla variante inglese. In pratica, il ‘braccetto’ del virus responsabile dell”aggancio’ è, normalmente, mobile, oscilla. Quindi può agganciare oppure non farlo, perché l’oscillazione non lo rende preciso. Con questa mutazione il ‘braccetto’ si stabilizza, oscilla poco e quindi aggancia più facilmente“.

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Ma sui vaccini specifica: “Non cambia nulla, come indica anche un lavoro dell’Istituto di sanità pubblica inglese, secondo il quale, a livello di copertura vaccinale, la variante indiana è coperta da Pfizer all’88%, da AstraZeneca al 63%. Questo, però, dopo la seconda dose. Dopo la prima dose per tutti i vaccini l’efficacia è del 33%” . La prima dose, insomma, sembra coprire meno i rischi da variante indiana ma dopo la seconda dose le percentuali di copertura si riallineano”. Proprio per questo, viene ribadito, è necessario non allungare eccessivamente i tempi di somministrazione della seconda dose. Il motivo è chiaro: copertura più bassa, per più tempo. “Speriamo che con l’arrivo di tanti vaccini previsti non ci sia bisogno di ricorrere a questa strategia“, conclude Ciccozzi.

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