Sblocco dei licenziamenti e Gkn: nulla avviene per caso

Dal 1° luglio è caduto il divieto di licenziare per motivi economici imposto dal governo per contenere i danni sociali causati da pandemia e restrizioni. Il rischio di una “macelleria sociale” c’è.

442 lavoratori licenziati con una email, senza preavviso: ha fatto scalpore la vicenda dell’azienda Gkn di Campi Bisenzio, in provincia di Firenze, che – più o meno appena è stato possibile – ha di fatto mandato a casa e gettato nella disperazione oltre 400 famiglie, che si ritrovano ora nella situazione vissuta nei mesi scorsi da tantissimi altri italiani, travolti dalla crisi in assenza di tutele. Ora, con il venir meno del blocco dei licenziamenti, è il turno di lavoratori che nell’anno e mezzo che ci siamo messi alle spalle sembravano forse più tutelati: ma era solo un’impressione.

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La questione è semplice: l’Italia è un paese che era in crisi già prima dell’arrivo della pandemia. Tutto quello che è avvenuto da marzo del 2020 è stato solo un aggravarsi – in maniera esponenziale, certo – di una situazione da anni emergenziale. L’accordo che i sindacati hanno concluso con il governo, volto ad evitare che dopo il 1° luglio il mondo del lavoro dipendente scivolasse nel caos più totale e che il segretario della CGIL Landini aveva illustrato ai nostri microfoni, cosa può di fronte ad un atteggiamento come quello adottato dalla Gkn? Il timore è che serva a poco, all’interno di un sistema nel quale la proprietà, se vuole, manda a casa i lavoratori senza troppe preoccupazioni.

Certo, anche le imprese hanno i loro diritti: primo fra tutti quello di tutelare la propria possibilità di “fare impresa”. Però fare impresa non può significare “fare tutto quello che si vuole”. Perchè c’è un limite, anche costituzionale: articolo 41, “L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”. Una contraddizione tra quello che sta avvenendo ai 442 lavoratori della Gkn e quello che prevede il testo costituzionale sembra abbastanza evidente.

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Di chi è la responsabilità? Pur non volendo scivolare in banalità e luoghi comuni, non è possibile non considerare il governo il responsabile di questa situazione e di quello che potrebbe avvenire nei prossimi mesi. Anzi: i governi. Tutti i governi che hanno ritenuto che la strada migliore ed unica per incentivare le imprese fosse quella di ridurre al minimo i diritti dei lavoratori. Un percorso lungo e progressivo, iniziato negli anni ’90 con il “pacchetto Treu” e proseguito fino ad arrivare al Jobs Act. Due provvedimenti molto criticati, che hanno – secondo molti addetti ai lavori – contribuito a polverizzare le tutele di chi lavora e che sono stati prodotti da due governi di centrosinistra: Prodi e Renzi i rispettivi presidenti del consiglio dei ministri. In mezzo, ovviamente, due decenni di altri interventi legislativi che hanno progressivamente diminuito la capacità di tutelare i posti di lavoro. Provvedimenti che, tra l’altro, hanno fallito gli obiettivi per cui erano stati pensati: il lavoro in Italia è in crisi strutturale da lustri, e non ha mai mostrato reali e concreti segni di ripresa. La crisi pandemica ha svelato, come in molte altre questioni, la verità: occorre ripensare ai rapporti lavorativi in questo paese. Rendere flessibile e liquido il mercato del lavoro dovrebbe corrispondere ad un aumento delle possibilità, ma non è così: alla precarizzazione dei lavoratori non è mai corrisposto una altrettanta flessibilità delle assunzioni. In Italia è facile perdere il lavoro, ed è molto difficile trovarne un altro: questa è una realtà sui cui è indispensabile intervenire il prima possibile. Anche perchè i soldi del recovery fund (se e quando arriveranno) non possono essere la soluzione ad ogni problema.

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