Bisognerà trattare con i talebani. Arlacchi: “Se non tratti con il nemico, con chi?”

Proseguono le tensioni in Afghanistan: mentre sale l’allarme sul rischio di attacco terroristico all’aeroporto di Kabul, il presidente Usa Joe Biden ribadisce di voler concludere le operazioni di evacuazione entro il 31 agosto. Sulla scelta pesa anche la minaccia dei talebani: “Se il limite del 31 agosto non verrà rispettato ci saranno conseguenze“. Intanto, il G7 e poi il G20 cercheranno una linea comune per aprire un primo fronte di trattativa con i talebani. E aumentano le voci di chi ribadisce la necessità di trattare con il nuovo regime, che ci piaccia o no. Tra questi, Pino Arlacchi, ex direttore dell’agenzia Onu contro la droga, che al Corriere della Sera esprime la sua visione dei fatti. 

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MeteoWeek.com – Foto del 2011 in Badakhshan, Afghanistan (Photo by Majid Saeedi/Getty Images)

La situazione in Afghanistan si fa sempre più tesa, i giorni passano, le evacuazioni aumentano, gli sforzi si moltiplicano per portare tutti i cittadini Usa ed Ue lontano dai talebani. Sarebbero, al momento, circa 1.000 (secondo la Cnn 4.000) i cittadini statunitensi ancora irraggiungibili: non rispondono alle mail, non rispondono alle chiamate, le autorità Usa cercano di contattarli incessantemente, finora senza successo. Poi ci sono i collaboratori e le collaboratrici afghane, gli attivisti, tutti coloro che in qualche modo si sono “compromessi” con l’Occidente agli occhi dei talebani. Anche per loro si moltiplicano gli sforzi, ma i Paesi occidentali fanno già sapere: sarà impossibile portare via tutti. Anche per questo, e per molte altre ragioni, diventa sempre più necessario aprire una linea di confronto con il nuovo regime talebano. Ci stanno già lavorando i Paesi del G7, ci lavoreranno i Paesi del G20: trovare un fronte comune per parlare con una voce unica al regime talebano. Si vedrà per dire cosa, ma il punto al momento è un altro. Il punto è che bisogna parlarci, trattare, sporcarsi le mani, questo è assodato. Lo dice senza mezzi termini anche Pino Arlacchi, ex direttore dell’agenzia Onu contro la droga, tra i pochi al mondo ad aver negoziato con i talebani del primo Emirato.

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“Se non tratti col nemico, con chi lo fai?”

Arlacchi ne parla al Corriere della Sera, e tagliando a corto azzera ogni ipocrisia in merito: “Se non tratti col nemico, con chi lo fai? E poi, senta, non sono alieni. Dobbiamo ammettere che se dopo 20 anni ce li ritroviamo lì, vittoriosi, vuol dire che qualche consenso tra la popolazione ce l’hanno. Conquistato il potere, però, camminano su un filo. Il Paese ha problemi immensi e loro sanno che se non danno risposte in tempi brevi, sono destinati a cadere”. In questo senso – secondo Arlacchi – si apre un margine di mediazione: il Paese è in preda alla crisi economica, i prezzi si alzano, i fondi esteri vengono congelati, e i talebani non vogliono che tutto questo sfoci nel caos che potrebbe ribaltare il regime appena insediato: “Sanno adattarsi al bisogno. Sono nazionalisti prima ancora che fanatici o terroristi. La priorità è mantenere il potere”. Per questo, con ogni probabilità, saranno disposti a cercare compromessi.

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“Se gli diamo credito, possiamo trattare a tutto campo”

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MeteoWeek.com – foto del 2010 in Orgune, Afghanistan (Photo by Spencer Platt/Getty Images)

E a parlare è anche l’esperienza personale di Arlacchi: ”È il 1997. Propongo un piano in 10 anni per eliminare l’oppio nell’intero Afghanistan. Offrivo 25 milioni l’anno, il doppio di ciò che incassavano dalle decime sul raccolto. E loro: perché aspettare 10 anni? Facciamolo subito e tu ci dai tutti i soldi. Non posso fidarmi, replico io, avete una reputazione pessima su donne e droga. Proprio come oggi. Gli ho offerto un test su una singola provincia. Voi eliminate i papaveri da oppio da Kandahar e io vi riabilito una fabbrica di filati che dà lavoro a pastori e migliaia di operai. I talebani ci stanno, ma io aggiungo che devono assumere anche le donne. Sì, no, sì, no, alla fine accettano purché stiano in ambienti separati. Mostri? Di sicuro disposti al compromesso”, racconta al Corriere.

Il succo della storia si concentra però nel finale: la questione si è conclusa con l’arrivo di un investitore saudita che ha comprato la fabbrica e ha negato alle donne la possibilità di lavorare. Era Osama Bin Laden. Morale della favola? ”Se gli diamo credito, possiamo trattare a tutto campo. Se invece li isoliamo sopraffatti dall’emozione per le immagini che vediamo in tv, il nostro sarà un orrore che si auto-avvera. Il comportamento nostro e loro in questi primissimi mesi sarà decisivo”.

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L’apertura al dialogo con i talebani

Insomma, i talebani sono ormai un elefante nella stanza che non può essere ignorato, ma che deve essere reso innocuo. E la situazione è ormai chiara anche a diversi leader europei, a partire da Angela Merkel, che nella sua audizione al Bundestag ha di recente ribadito: “I talebani sono la nuova realtà in Afghanistan. E’ una realtà amara, ma dobbiamo affrontarla“. Lo scopo è chiaro: “Preservare al massimo i cambiamenti che abbiamo realizzato negli ultimi 20 anni in Afghanistan“. D’accordo anche il presidente del Consiglio Mario Draghi, che a sua volta sottolinea l’importanza di “assicurare – sin da subito – che le organizzazioni internazionali abbiano accesso all’Afghanistan anche dopo questa scadenza. Per raggiungere gli obiettivi, credo che il G7 debba mostrarsi unito anche nell’aprire relazioni con altri Paesi. In questo, il G20 può aiutare il G7 nel coinvolgimento di altri Paesi che sono molto importanti perché hanno la possibilità di controllare ciò che accade in Afghanistan: la Russia, la Cina, l’Arabia Saudita, la Turchia e l’India“, ha detto ancora Draghi. Insomma, il premier parla degli altri Stati in relazione all’Afghanistan, ma il principio sembra lo stesso suggerito da Arlacchi: bisogna cercare di aprire un fronte di trattativa proprio con chi risulta potenzialmente pericoloso, per cercare di controllarlo. Che siano i talebani, o Cina e Russia.

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